Regia di Peter Bogdanovich vedi scheda film
Buster Keaton è fra i grandi indiscutibili del Cinema, in un ideale Olimpo di maestri responsabili di molto, moltissimo, di quello che vediamo oggi sul grande schermo. Anche solo i lungometraggi realizzati nel decennio '21-'30 - ci fa notare Peter Bogdanovich - sono manuali di tempo, ritmica, montaggio e regia. Per esplorare l'importanza dell'opera del "capitombolo" Buster, il regista cinefilo per eccellenza, già regista di She's Funny That Way del 2014, è come se tornasse a realizzare una commedia hollywoodiana, brillante nel ritmo e nell'evoluzione. Il suo documentario è proprio costruito con tale struttura, un incipit sereno, una parte centrale oscura - definitiva riflessione sul carattere parassitario delle major hollywoodiane - e un finale conciliatorio. Si tratta di una struttura edificata con straordinaria accuratezza, e che commuove ancor di più proprio perché circoscritta dal formato documentario, e dunque quasi miracolosa quando racconta prima la morte di Buster e poi in un certo senso la sua resurrezione. Questa resurrezione sta nell'analisi più accurata delle sue opere più importanti, e quindi comporta di netto la commozione nel riguardare le straordinarie immagini di The General e la divertente apocalisse di Steamboat Bill jr..
Bogdanovich non si limita alla "celebration" che sta nel sottotitolo del suo film, ma va più in fondo, affrontando di petto un'analisi esegetica delle tempistiche e dei movimenti di uno dei più grandi attori/registi del panorama storico cinematografico. The Great Buster è una vera e propria lezione di Cinema, che fa il paio con i doc cinematografici più disorganici di Mark Cousins e che parla innanzitutto tramite il montaggio e il ritmo, ancor prima che con la parola. Si tratta di parlare di Cinema facendo Cinema: è un'operazione sottile che non fa quasi nessuno.
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