Regia di Lech Majewski vedi scheda film
Valley of gods
Dopo la lunga mancanza di films al cinema, mi trovo da subito immerso in una visione onirica, piena di simbolismi, stravolto dalla dimensione dello schermo e dal suono stereofonico che mi ha fatto sussultare.
John, valido scrittore si trova in una grave crisi esistenziale, non solo creativa, ma soprattutto dovuta alla ricerca del suo Spirito distratto e disturbato dalla banalità della vita umana ( crisi che la moglie non capisce e infatti lo abbandona ) .
Il film confronta sin dall’inizio la sacralità degli antichi costumi navajo e il lavoro di John, dirigente di una multinazionale, intesa a sfruttare l’antico e sacro territorio indiano della valley of gods per estrarre uranio, che dovrebbe essere la più efficace fonte di energia per l’umanità, ormai resa pazza dal consumismo e rinchiusasi volontariamente nei piccoli sarcofagi semoventi delle automobili.
L’uomo più ricco del mondo ( Tauros ) con le sue ricchezze ricrea nella sommità della montagna sacra (che John raggiunge per mezzo di un ascensore dalla corsa interminabile) uno sfarzoso castello dalle porte simili a quelle della porta santa di s. Pietro, nel quale alberga la fedele riproduzione della Fontana di Trevi ( ove suona una orchestra sinfonica e cantanti lirici in un concerto eccezionale ). Il soffitto paradisiaco è di una magnificenza paragonabile a quello del palazzo reale di Versailles.
Nonostante tutto ciò Tauros dice tristemente che non riuscirà a riportare in vita l’amata moglie e figlia, morte in un incidente stradale. Fa ricreare in statue di gesso le persone che ha amato, illudendosi così di farle rivivere, mentre rinchiude in gabbie zoologiche, ma contenenti il materiale usato precedentemente, le persone che lo vanno a trovare.
Dietro suggerimento di John, Tauros fa aprire le sbarre, ma tutti ( tranne la sosia della moglie del magnate, alla ricerca del figlio ) preferiscono rimanere rinchiusi nella paura di uscire ed affrontare i pericoli e il travaglio della vita esterna.
La scena finale apocalittica in cui il bambino gigantesco ( l’umanità che gioca con l’uranio e giochi altamente pericolosi ) calpesta e distrugge il palazzo della corporation e ogni cosa calpesti con i suoi enormi piedi è altamente simbolica ( come tutto il resto ) e la vita umana ricomincia con la sacralità dei tamburi , delle danze e costumi navajo.
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