Regia di Lech Majewski vedi scheda film
AL CINEMA John Ecas è un affascinante scrittore quarantenne in crisi di ispirazione, e con un matrimonio in bilico a ridosso di un abisso senza ritorno. Per cercare di risolvere innanzi tutto il suo primo problema, che forse è la causa pure del suo secondo, egli si trasferisce - con tanto di scrivania di legno massello caricata sulla jeep - nel luogo più sacro e spettacolare a cui si possa pensare: la Monument Valley, luogo ove è convinto di poter ritrovare la vena perduta.
In quel posto viene tuttavia più che altro a contatto con l'ansia dei nativi che vedono minacciata la loro ispirazione spirituale, oltre che il loro paradiso terrestre, dalle mire economiche del magnate Tauros, che intende trivellare quel magico sottosuolo pietroso per estrarvi uranio.
Ma lo scrittore e il magnate già si erano incontrati fortuitamente per strada, prima di ritrovarsi nuovamente nel castello da sogno del boss, popolato dei fantasmi marmorei delle persone che non gli sono resistite.
Seguendo una storia che a raccontarla può sembrare una barzelletta barocca e sin oziosamente eccentrica e forzata, ma non per questo non affascinante ed a tratti godibile, il film tenta di parlarci, attraverso il suo prologo ed i suoi dieci successivi capitoli, di tutto e di sin troppe cose: dall'etica alla morale, dal peccato originale al risvolto economico ed etico che muove l'esistenza umana secondo due principi contrastanti ed antitetici.
Nelle mani di un regista qualunque tutto ciò si tradurrebbe inesorabilmente in un pastrocchio, laddove invece e magari un grande genio eccentrico come Greenaway avrebbe potuto trovare l'occasione per raccontarci la summa delle sue cabale esistenziali.
Qui un cineasta visionario ed affascinante come è Lech Majewski, ci materializza una favola puerile, ma affascinante, ridondante, ma visionaria al punto da affascinare, che, distribuita seppur in pochissime copie nel ritorno in sala, ci fa particolarmente apprezzare ed amare il ritorno al cinema vero: lo schermo torna finalmente gigantesco, e risulta qui impreziosito da voli leggiadri e riprese che si aprono su uno degli angoli più magici ed affascinanti del pianeta, come è la terra dei nativi d'America. Il resto è splendida superficialità e ridondanza, entro cui ben si ritrovano attori diversamente affascinanti che ritrovare assieme ci pare quasi un miracolo di azzardo: Josh Hartnett, il bello d'America sempre perennemente ad un passo da un divismo che gli sfugge sempre, John Malkovich, il malizioso più illustre e di classe del cinema contemporaneo, e Keir Dullea, il divo mancato per aver preso parte al film più bello e perfetto della storia che lo ha letteralmente fagocitato: il 2001 kubrikiano, naturalmente.
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