Trama
L'uomo più ricco del mondo (John Malkovich), una leggenda Navajo e uno scrittore con il potere di alterare la realtà (Josh Hartnett): le loro storie si intrecciano in una visione fantastica, misteriosa e stravagante dell'America.
Curiosità
TRE DOMANDE A LECH MAJEWSKI
Cosa l'ha spinta a raccontare la storia dell’uomo più ricco del mondo?
Mi sono chiesto come sarebbe un Quarto potere di oggi. La domanda è nata quando stavo scrivendo e producendo il film Basquiat. Per preparare il lavoro ho intervistato alcuni dei collezionisti d’arte più importanti degli Stati Uniti, che sono tra gli uomini più ricchi del mondo. Non rimasi colpito dal modo in cui parlavano di Basquiat - per loro era più che altro una merce di scambio, quasi oggetto di speculazione finanziaria - ma dal fatto che la maggior parte di loro era infelice, nonostante le infinite possibilità che avevano. Nulla a che vedere con quella forza e quel calore che senti quando entri in contatto con i Navajo. Ironia della sorte, sembra quasi che le persone povere siano più felici.
In Valley of the Gods ho voluto mostrare che l'uomo più ricco della terra che vive in cima a una montagna, in un mondo completamente protetto, una volta che si confronta con la realtà comune può diventare completamente vulnerabile.
La figura dell'artista, qui uno scrittore (Josh Hartnett nei panni di John Ecas), si pone al centro tra due mondi opposti – quello dei Navajo e quello del magnate - quale è il suo ruolo?
John è uno scrittore, ma non ha mai avuto la possibilità di spiccare il volo. Tutto ciò che accade nel film lo vediamo attraverso i suoi occhi e le sue descrizioni. Non sappiamo se ha rappresentato la pura realtà o se l'ha piegata alla sua scrittura. Siamo nella mente dello scrittore, dell'artista, e questa è l'idea alla base del film.
Amore e arte sono temi ricorrenti e sempre intrecciati nelle sue opere: ricordiamo ad esempio la travolgente passione tra Claudia e Chris, amanti in Il giardino delle delizie, film ispirato al capolavoro di Bosch, o ancora Adam e Basia, contemporanei Dante e Beatrice in Onirica, opera ispirata alla Divina Commedia. Quanto l'arte è centrale nella sua vita e in particolare quanto lo è l'arte italiana, più volte citata in questo film (dalla Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti alla Fontana di Trevi)?
Io mi sento quasi italiano perché il mio lato artistico è nato a Venezia. Mio zio insegnava al conservatorio di Venezia e io lo andavo a visitare spesso. Così conobbi il Giorgione, Bellini, l'arte veneziana e poi gli artisti fiorentini. Fu amore a prima vista, l'Italia è sempre nei miei pensieri. Quando studiavo per diventare pittore, il momento rivelatorio per me fu alla Galleria dell'Accademia di Venezia davanti alla Tempesta del Giorgione, il mio dipinto preferito. In quel momento topico della mia giovinezza dovevo decidere chi sarei diventato; guardando quel dipinto mi ci sono perso dentro e ho avuto la stessa sensazione anche al cinema, durante la scena del parco nel film Blow Up. In quel momento ho pensato che se Giorgione fosse stato ancora vivo sarebbe stato Michelangelo Antonioni. Questa fu la scintilla che mi fece lasciare l'accademia d'arte e iscrivere alla scuola di cinema.
Quando ero al secondo anno Michelangelo Antonioni visitò la mia scuola. Gli chiesi se quando arrivava sul set si ricordava tutto ciò che doveva fare, oppure se andava a sentimento: lui mi disse che cercava di dimenticare tutto quello che si sarebbe dovuto fare sul set, perché voleva osservare la realtà che gli si presentava in quel preciso istante. E questa fu la più grande lezione di cinema che abbia mai avuto in tutta la mia vita: scoprire ogni cosa e vederla come se fosse per la prima volta.
Trailer
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Commenti (3) vedi tutti
Dall'opera cantata "dentro" la fontana di Trevi al figlio concepito "con" la pietra Majewski dissemina il suo lavoro di simbolismi criptici. Ma, come suol dirsi, a furia di insistere il troppo stroppia e questo vale anche se viene presentato con una qualità artistica vicina alla perfezione.
commento di bombo1Dall'opera cantata "dentro" la fontana di Trevi al figlio concepito "con" la pietra Majewski dissemina l'opera di simbolismi criptici. Ma, come suol dirsi, a furia di insistere il troppo stroppia e questo vale anche se viene presentato con una qualità artistica vicina alla perfezione.
commento di bombo1Questo è uno di quei film, tecnicamente perfetti, dove bisogna entrare nella testa del regista per capirne il significato. Auguri.
commento di gruvieraz