Regia di Pema Tseden vedi scheda film
Quando si legge "prodotto da Wong Kar-wai", si comincia inevitabilmente a guardare il film in questione in maniera diversa. E' il caso di Jinpa di Pema Tseden, ambientato in Tibet e dotato fin dall'inizio di un fascino magnetico. Il film è la graduale decostruzione di un approccio registico realistico: da un campo lungo in perfetto stile Kiarostami (quindi un campo da far percorrere in tutta la sua profondità dal furgoncino del protagonista), ai secchi campi/controcampi del dialogo fra i due Jinpa della storia, il Jinpa camionista e il Jinpa mendicante samurai che sembra giunto da un'altra misteriosa epoca. I primi piani, che dissezionano un'atmosfera stranamente tesa fin dalle prime sequenze, vengono a poco a poco smorzati da un graduale decentramento dell'inquadratura, che defila i soggetti e le figure, le mette da parte, quasi le evita, come a isolarle fuori da uno spazio scenico (leggasi anche contesto geografico) che, già a partire dalle scritte iniziale, viene annunciato ostile e invivibile. Dai campi/controcampi è piccolo il passo che porta all'out of focus, allo sgranato, al controluce, al b/n, al sovraesposto. Finché non inizia la parte della locanda.
Si anticipi poco di un film che fa della tensione estetica la sua raison d'etre, ma basti dire che da metà film in poi il doppio carattere si fa anche doppia inquadratura, doppio evento, doppia narrazione. E non si tratta di due binari rettilinei e paralleli, ma piuttosto di due semiovali che prima o poi, essendo curve, si ricongiungeranno. Fino al gran finale che sembra girato dal Wong Kar-wai di Ashes of Time.
E dove altro sta Wong Kar-wai? Un po' ovunque, sottopelle: banalmente, nell'utilizzo del leitmotiv, che in questo caso grottesco è la nostrana O Sole Mio prima cantata in cinese e poi giustamente in napoletano. E di Wong Kar-wai c'è anche la filosofia del cappa e spada, il karma, l'eterno ritorno, i sentimenti bigger than life che qui travalicano l'umano e rasentano il meta-psichico.
Niente di serioso, in Jinpa, nonostante la regia ambiziosa, il ritmo contemplativo e le ambientazioni sperimentali. Piuttosto, si respira a pieni polmoni la vera traduzione estetica di un modo di sentire e di vivere, e questo è commovente anche nelle più grottesche delle situazioni.
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