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Arrivederci Saigon

Regia di Wilma Labate vedi scheda film

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La recensione su Arrivederci Saigon

di obyone
7 stelle

 

scena

Arrivederci Saigon (2018): scena

 

Forse è un po’ presuntuoso dire che Wilma Labate ha portato alla luce una pagina di storia rimasta sepolta per cinquant’anni. Forse il contenuto di questo film appartiene, al più, al costume che alla storia vera e propria, tuttavia il documentario presentato dalla regista alla settantacinquesima Mostra del Cinema di Venezia con il titolo  “Arrivederci Saigon”, nel raccontare le vicende di una band femminile italiana che si esibiva nelle basi americane del Vietnam, durante il conflitto, trascende il fenomeno di costume e getta nuova luce sulla guerra illuminando una prospettiva alquanto singolare, utile a restituire la quotidianità dietro le linee.

Franca, Daniela, Viviana, Rossella e Manuela, ovvero “Le Stars” vennero ingaggiate per una turnè asiatica che si rivelò un vero e proprio raggiro per l’ignaro quintetto convinto di doversi esibire in ben altri paesi dell’indocina in quel 1968 di tumulti e rivolte. Le Stars, confiscato il passaporto, finirono, invece, in Vietnam e ci restarono ben tre mesi impossibilitate a far ritorno in Italia per non pagare le penali vessatorie del contratto. Costrette a continui spostamenti, tenevano fino a quattro concerti al giorno nelle basi dov’erano stati organizzati gli eventi.

ll documentario di Labate, alternando le immagini dei soldati e le interviste a quattro mature signore del giorno d’oggi, che poco hanno a spartire con il prototipo delle rock star, narra le esperienze traumatiche vissute, in quei luoghi devastati dalla guerra, dall’unico complesso italiano che abbia mai cantato per i soldati americani. La regista e le componenti del gruppo ripercorrono le tappe della turnè coadiuvate dei pensieri impressi sulle pagine del diario dell’allora sedicenne cantante del gruppo. Ne esce un ritratto di provincia dipinto nella più aliena delle realtà possibili, il paese più chiacchierato alla fine degli anni '60 ed oggetto delle più grandi contestazioni giovanili negli Usa e nel mondo occidentale. La piccola provincia italica venne scaraventata nell’avvenimento clou dell’epoca mantenendo quel candore tipico della nostra periferia davanti ad avvenimenti troppo grandi da comprendere. Al di là delle questioni politiche Labate ricostruisce il micro mondo delle Stars fatto di incontri con soldati gentili, allarmi continui, bombe che rischiaravano l’orizzonte notturno di lampi e incendi. Incoscienza, paura e molte lacrime versarono quelle ragazze (ben quattro erano minorenni) e molte ne versano, ora, al ricordo di un’esperienza tormentata che qualcuna di loro ha accettato meglio di altre. Franca Deni faticò a recuperare dalla malattia che la colpì durante la trasferta (una probabile polmonite dovuta allo stress psico-fisico) e una volta tornata a casa, oltre ai disturbi fisici, finì in terapia psicologica. Manuela Bernardeschi non ha partecipato al progetto di Labate intenzionata a porre un macigno sull’intera vicenda per sempre. Quella pietra tombale è stata, ora, frantumata e dal luogo della memoria sigillato ermeticamente a causa della vergogna provata dalle regazze escono adesso molte considerazioni sulla morte della giovinezza. Al loro rientro le Stars vennero osteggiate dall’ambiente politico locale. Alcune di esse erano figlie del proletariato comunista toscano che non perdonò al gruppo il fatto di essersi esibito per i soldati USA nelle basi del sud Vietnam (per capirsi celebri personaggi, come Joan Baez, si esibivano nei territori del Nord). L’incomprensione e l’ostilità che circondò le giovani donne, l’incapacità del partito di guardare la turnè come ad un evento coatto instillò nei membri del gruppo la convinzione di aver vissuto una pagina di vita da cancellare dalla memoria propria e collettiva. Ciò causó il cinquantennio di silenzio a cui la regista romana restituisce le sonorità del blues e del soul, di Wilson Pickett e di Aretha Franklin.

Ma a mio avviso, al di là delle considerazioni storiche, Labate restituisce alle quattro donne le emozioni provate in quei luoghi: la gioia per le gentilezze ricevute dai soldati, la rabbia per gli episodi di razzismo nei confronti degli afro-americani, la tensione emotiva per gli allarmi bomba, la malinconia del ritorno, una malinconia dovuta, principalmente, alla consapevolezza di aver vissuto da protagoniste un evento storico di grandissima portata proprio nel centro, o quasi, del teatro di guerra. Sono i piccoli ricordi a rendere perfetto questo film: lo zucchero pieno di formiche, la pasta già cotta in lattina, il negro buttato fuori dal pullman di bianchi, le iniezioni praticate al Viet Cong ferito lanciando la siringa come la freccietta verso il suo centro. Piccoli dettagli che lasciano nella memoria di ognuno strascichi brillanti di un passato che ormai è sbiadito e consumato dalla storia successiva sempre uguale a se stessa. Unica pecca, ma non certo ascrivibile alla regista, la mancanza di un video delle Stars sul palco mentre cantavano la musica dell'anima nera dell'America.

 

RaiPlay    

 

Wilma Labate

Arrivederci Saigon (2018): Wilma Labate

 

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