Regia di Giulio Base vedi scheda film
Chiuso nella sua villa, un banchiere anarchico festeggia il suo cinquantesimo compleanno con una sfarzosa cena per sé e per il suo ospite, che lo sprona a raccontare la sua vita e le sue idee.
Tratto da un racconto di Fernando Pessoa opportunatamente riadattato sotto forma di sceneggiatura dallo stesso regista e protagonista, cioè Giulio Base, Il banchiere anarchico è un buon pezzo di teatro girato per lo schermo: le scenografie sono ridotte al minimo indispensabile, così come i costumi; gli interpreti sono appena due, sempre in scena; le luci si aggirano attorno ai due attori e l’azione è pressoché azzerata, sostituita in toto dai dialoghi. A voler essere più precisi questo film è una sorta di monologo (del banchiere anarchico, per l’appunto, il ruolo che Base si è riservato) con un interlocutore, impersonato da Paolo Fosso – la cui presenza è sovrastata quantitativamente e qualitativamente da quella di Base. Anche la voce fuori campo (del personaggio di Fosso) sostanzialmente non fa altro che creare i raccordi fra una parte e l’altra del monologo del banchiere, uomo senza scrupoli, né dubbi, che ha fondato la sua vita e la sua carriera su personalissimi dogmi dell’anarchia. A chiarire fin da subito i contenuti filosofici del film c’è la didascalia in apertura, che cita Pier Paolo Pasolini: “Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole”; a conferma degli stessi, inoltre, la ‘bibliografia essenziale’ che scorre sui titoli di coda tirando in ballo fra gli altri Marx, Freud, Chomsky, Sartre, Jung, Trockij, Dostoevskij, Che Guevara. Opera ardua, non facile alla visione, ma confezionata a dovere e dai contenuti ben assestati, Il banchiere anarchico ha inoltre il pregio di non superare di molto la durata di 70 minuti. Al termine dei titoli di coda c’è poi un divertente siparietto con tutto il cast tecnico in scena a cantare Anarchy in the Uk nella versione della Ukulele orchestra of Great Britain. 6/10.
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