Regia di Giulio Base vedi scheda film
Il banchiere anarchico di Giulio Base, tratto da Pessoa, ci ricorda uno dei più grossi problemi cui può incorrere la recitazione: il carisma coatto. Sembra una tecnicismo, ma basta osservare la recitazione di Giulio Base in questo piccolo gratuito pamphlet senza lo sbrilluccichio di idea cinematografica: dire cose sensazionali, bloccarsi di tanto in tanto per una tirata del suo panciuto sigaro, e poi riprendere a parlare, incoraggiato da una regia che si muove, si mette sbilenca e scorre in lunghi carrelli solo per accecare lo spettatore con gli stessi fari disposti ad hoc per l'ambientazione teatrale beckettiana vuota e nera (che originalità!) del film.
E' anche della regia il problema del carisma coatto: il pianosequenza, l'impostazione teatrale, l'idea stessa a priori di fare un film teorico con i vezzi del film impassibile, fermo e apparentemente rigoroso. In verità, Il banchiere anarchico, già a partire dalla recitazione ma anche da ciò che immanentemente viene proiettato sullo schermo, sprizza amatorialità da tutti i pori, da tutti i gesti e da tutti i movimenti. Anche nella citazione iniziale a Pasolini e nella sterminata, ignorantissima, biografia essenziale del finale, a fare il verso ai titoli di coda pasoliniani. Niente è più anarchico del potere, è vero; ma se il film facesse lo stesso gioco del suo banchiere anarchico, che tanto in fondo disprezza con approccio moralistico, cioè tiranneggiare sullo spettatore?
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