Regia di Pupi Avati vedi scheda film
1952, in un paesino delle campagne venete arriva un ispettore per indagare su un ragazzino che ha ucciso un coetaneo ritenendolo il diavolo. Pian piano che l’uomo fa conoscenza della gente del luogo, attorno al giovane si moltiplicano le figure inquietanti, compresa quella di un altro ragazzino dalla dentatura di maiale che si ritiene aver sbranato a morte la sorellina.
Pupi Avati, classe 1938, non smette di stupire neppure passata l’ottantina; il regista bolognese tira infatti fuori dal cilindro, da consumato maestro dell’horror all’italiana, questo Il signor diavolo, tratto da un suo romanzo e sceneggiato da lui stesso insieme al figlio Tommaso e al fratello Antonio, come sempre anche coproduttore. C’è qualche ingenuità, è vero, e qualche soluzione frettolosa qua e là (il ralenti nella scena conclusiva sa di spot televisivo, per esempio); ma nel complesso ne Il signor diavolo c’è anche tanto di buono, a partire da una storia originale e interessante disposta in scena con accuratezza e recitata in maniera gradevolissima (Avati rimane pur sempre uno dei migliori registi di attori in Italia). Fra gli interpreti compaiono alcuni fedelissimi avatiani, sebbene in ruoli marginali o minori (Gianni Cavina, Alessandro Haber, Andrea Roncato) e altri nomi notevoli come quelli di Lino Capolicchio, Massimo Bonetti e Chiara Caselli, oltre al protagonista Gabriel Lo Giudice – non particolarmente incisivo, va detto – e ancora Cesare S. Cremonini (la S. probabilmente serve solo a non confonderlo con l’omonimo, popolare cantante bolognese) e i piccoli Lorenzo Salvatori, Riccardo Claut e Filippo Franchini. La tensione c’è, l’horror anche, grazie peraltro agli effetti speciali di Sergio Stivaletti; interessante poi la lettura ‘politica’ sottotraccia, che lega indissolubilmente politica e superstizione e conferisce concretezza, credibilità al racconto. 6/10.
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