Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Autunno 1952, Furio Momentè, giovane ispettore del Ministero di Grazia e Giustizia, viene inviato segretamente a Venezia per evitare la deposizione di un prete e di una suora nel caso di un omicidio che ha del sovrannaturale. Le indagini dell’uomo si rivelano torbide e difficili, costellate da fatti oscuri.
Cinquant’anni dopo, Pupi Avati, torna all’horror o almeno ci prova … e non ci riesce. Vuoi per la breve durata, vuoi per l’erroneo modo in cui la sceneggiatura decide di raccontare i fatti, Il signor Diavolo risulta un film confuso o quantomeno a tratti incompleto. Una cozzaglia di personaggi e situazioni che sembrano iniziare dal mezzo e non avere mai una fine.
Mentre la prima parte della trama è ben svolta e meticolosamente narrata, con la giusta (e anzi a tratti forse anche eccessivamente corposa) introduzione ai personaggi, proprio nel massimo momenti di intrigo della trama il regista ci conduce ad un finale impervio e incompleto, quasi incomprensibile, che sembra essere più un resoconto narrativo che lo svolgimento dei quesiti lasciati in sospeso. La stessa chiusura con quel colpo di scena finale che non ha le giuste fondamenta per garantirne la comprensione da parte dello spettatore, perso nei molteplici meandri dei tanti fatti narrati, finisce per risultare banale.
Anche l’intenzione di utilizzare attori di un certo calibro: Alessandro Haber, Massimo Bonetti e Gianni Cavina, tra glia altri, sembra non sfruttata al meglio, rilegandone la maggior parte in ruoli di contorno che non permettono di esaltarne (e goderne) della loro bravura recitativa. Nota di merito alla fotografia di Cesare Bastelli che utilizza l’oscurità come strumento complice e regala delle sequenze capaci di inondarci di ansia che si affaccia nella paura.
Un’occasione sprecata, anzi direi bruciata, dalla fretta di raccontare una di quelle “storie di una volta” con la smania di oggi.
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