Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film
Venezia 75. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Prima di Venezia Tsukamoto era uno di quei cognomi esotici che si è sentito nominare qualche volta senza ricordare, di preciso, la circostanza. La mia conoscenza di quali percorsi artistici siano nascosti dietro questo nome è rimasta pressoché immutata, nonostante la visione di "Zan", ma Tsukamoto si può consolare con i numerosi fans accorsi in sala per la prima proiezione, riservata agli accrediti, durante la quale un boato di entusiasmo è esploso allo scorrere dei titoli. Non parlo dei titoli di coda, quando gli applausi sono più che plausibili, se le immagini hanno accontentato le pretese dei palati più esigenti, bensì dei titoli di testa. Il nome del regista apparso sullo schermo a ricoprire tutti i ruoli possibili del cast e la musica molto ritmata e solenne di Chi Ishikawa hanno messo in agitazione i numerosissimi spettatori. Devo ammetterlo, un entusiasmo del genere non lo avevo mai percepito a Venezia, tantomeno nelle sale comuni. Un'atmosfera da concerto, oserei dire.
Se Tsukamoto ha tanti fedeli estimatori il motivo c'è, e non mancano i richiami, nel suo film, indirizzati ai non credenti eppure a coloro che sono meno restii a farsi ammaliare e sedurre dal cinema nipponico.
Il protagonista è un giovane samurai eclissatosi in un villaggio dove ha deposto la katana per brandire gli arnesi da contadino. Desideroso di quella libertà che solo la negazione di una vita violenta può dare, il giovane uomo lavora i campi in cambio dell'ospitalità offerta da una comunità rurale conscia di godere dell'implicita protezione di un combattente di professione. Sarà l'arrivo, prima, di un samurai anziano, che vuole reclutare altri combattenti per mettere fine ai disordini che devastano il paese, e, poi, di un gruppo di malviventi, forse intenzionati a depredare il villaggio, a determinare la rottura di quell'equilibrio raggiunto in seno alla comunità. Il giovane ronin sfodera, nuovamente, la spada ed affronta un destino di sofferenza e solitudine che coinvolge i propri ospiti oltreché se stesso.
Tsukamoto dirige un film dall'impatto emozionale feroce. La violenza zampilla sporcando i volti crudeli e afflosciando corpi monchi e senza più ardore che imbrattano di amaranto una terra fredda coma la morte. La potenza espressiva delle immagini è giocata sulle variazioni cromatiche che esaltano i caldi toni del giallo e del rosso nelle sequenze famigliari in cui si sente ancora il calore umano che si espande alle persone unite attorno ad un fuoco, alimentatore di sentimenti e speranze. Le tonalità di blu/grigio ed il verde smeraldo di una natura selvatica e arcigna sono i colori di una gelida vendetta che si consuma nell'incavo di una caverna per accondiscendere a superstiziose credenze che legittimano un mondo oscurantista e malvagio in cui il bene ed il male viaggiano indivisi. Splendide le inquadrature: veloci, sghembe e traballanti, negli scontri armati, accentuano, con il contributo di un montaggio nevrotico, la rapidità con cui il sentimento dell'odio si appropria dell'animo e spinge l'uomo a donare la morte anziché la vita; statiche e ravvicinate, nell'esplicare il complicato e lungo processo di riflessione sul labile confine tra giustizia e vendetta, ricordano quanto siano lunghi i processi di pacificazione e quanto rapido il ricorso alla violenza che non ammette ritorno.
La fotografia predilige l'oscurità delle capanne, degli anfratti, delle nuvole cariche di pioggia e delle chiome lussureggianti sferzate da vento e pioggia. La luce, che debole penetra tra i rami degli alberi e riscalda le radure zuppe d'acqua è troppo fioca per illuminare le anime tribolate e diffondere quella saggezza che nemmeno i più valorosi ed integerrimi samurai anziani sembrano possedere. In mancanza di saggezza gli errori dell'umanità sono condannati a ripetersi all'infinito ed il Giappone del XIX secolo rappresenta quella mancanza d'etica in cui l'uomo si rispecchia da secoli, ottenebrato da un equivoco senso dell'onore, dalla cupidigia, dal desiderio di vendetta a dall'asservimento ad ideologie contrarie ai più elevati principi di moralità. Tsukamoto parla di tutto ciò in un film dalle eccezionali doti di sintesi che lascia alle immagini il compito di comunicare all'umanità intera il suo concetto di giustizia e lo sconforto di chi rimane, inevitabilmente, solo nel tentativo di renderlo concreto.
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