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Killing

Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film

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La recensione su Killing

di Spaggy
8 stelle

A tre anni di distanza da Fires on the Plain, Shinya Tsukamoto si ripresenta in concorso a Venezia con Killing, la storia di un ronin costretto a fare i conti con ciò che significa per un essere umano uccidere. Protagonista della vicenda è Mokunoshin Tsuzuki, giovane che a metà dell’Ottocento vive nelle campagne di un Giappone sempre più povero. Esperto di spada, per via dell’assenza di guerre da quasi due secoli e mezzo lavora nelle campagne fuori Edo proteggendo la famiglia di un anziano contadino, di cui fanno parte il poco più che adolescente Ichisuke e la bella sorella Yu. Per non perdere dimestichezza con l’arma, Tsuzuki si allena quotidianamente con Ichisuke e gli trasmette la passione per il duello e per il combattimento in genere. Ichisuke se la cava egregiamente, anche se soccombe sempre al suo maestro, che nel frattempo ha preso una sbandata sentimentale per Yu.

Nuovi venti di guerra soffiano all’orizzonte e Tsuzuki accarezza l’idea di poter prestare servizio a Edo e contribuire alla difesa della nazione quando casualmente incontra Jirozaemon Sawamura, abile e gentile ronin che, vagando tra le campagne, è alla ricerca di abili combattenti con cui formare una squadra di valorosi guerrieri. Tanto più il guerriero si dimostra coraggioso, tanto maggiore sarà il prestigio che Sawamura ne riceverà, avanzando nel suo proposito di combattere nello shogunato. Riconoscendo il valore di Tsuzuki manifesta interesse nei suoi confronti e in quelle di Ichisuke, che potrebbe unirsi al gruppo qualora non si trovino altri guerrieri in giro. Sebbene la famiglia del giovane non sia d’accordo e stigmatizza il suo entusiasmo, Ichisuke è pronto alla partenza quando un evento imprevisto sconvolge ogni piano. L’arrivo poi nella zona di un gruppo di ronin fuorilegge farà precipitare del tutto la situazione, cambiando il corso del destino dei protagonisti.

Yû Aoi, Sôsuke Ikematsu

Killing (2018): Yû Aoi, Sôsuke Ikematsu

 

Tsukamoto torna a occuparsi nuovamente di guerra ma sceglie un punto di vista differente rispetto a quello usato per Fires on the Plain. Mentre nel precedente film gli omicidi, gli assassinii e le esplosioni erano date per scontato da parte del protagonista, in Killing devono essere metabolizzati da Tsuzuki che, al di là della passione per la spada, non ha mai ucciso nessuno in vita sua. Gli ideali di cui è portatore sono pressoché pacifici: allo scontro preferisce la parola e alla violenza antepone il sorriso. Lo si nota sin da quando, incontrando i fuorilegge, tende loro la mano mettendo da parte gli atteggiamenti ostili che avevano caratterizzato la gente del posto al loro arrivo. Sebbene vi sia un particolare rapporto di amicizia tra Ichisuke e Tsuzuki, è evidente che tra intercorrano molte differenze. Il giovane figlio di contadini è infatti impulsivo e tiene particolarmente al concetto di onore, al punto da scontrarsi con i fuorilegge e avere la peggio quando questi lo umiliano e lo mandano a casa sanguinante. La sua morte dovrebbe spingere l’amico alla vendetta, così come richiesto sia da Yu sia da Sawamura, che avrebbe finalmente l’occasione di testare l’abilità dell’aspirante guerriero sul campo, di fronte al nemico.

Quella che dovrebbe essere un’imboscata per vendicarsi diviene ulteriore tragedia. Nemmeno di fronte allo stupro di Yu e a una paventata propria morte, Tsuzuki riesce a rispondere con violenza. Reprime la rabbia stringendo tra i denti una spada ma non è capace di uccidere anima viva. Sorta di obiettore di coscienza ante litteram, non piò però permettersi il lusso di rifiutare di andare in guerra. Non esistevano ai tempi opzioni diverse da valutare: servire la patria era l’unica via di uscita e nel finale è costretto a capirlo e comprenderlo. Uccidere la prima volta non è facile ma come Sawamura gli dimostrerà la spada non serve ad altro fine.

Limitando la violenza e il sangue in scena, Tsukamoto spoglia il suo racconto di tutti gli orpelli e riduce all’osso. Più che il contesto storico sembrano interessargli le psicologie dei personaggi e i loro rapporti. Senza risultare melodrammatico, coniuga temi come l’amicizia, l’amore, la pace, la natura, la guerra, il coraggio e l’onore, in maniera universale. Al di là del contesto storico specifico, rende omaggio alla figura dei samurai in maniera atipica sottolineando quali grossi sacrifici morali abbiano affrontato per mantenere alto l’onore della casta a cui appartenevano. Il rosso del sangue che inevitabilmente scorre si scontra con il verde della campagna e si sposa con quello di una coccinella, animale dalle ali come origami scelto a simbolo dell’aspirazione all’alto: così come esistono samurai rari e valorosi, esistono coccinelle rarissime con soli sette o due punti neri sulle ali. Scovarle sta alla sensibilità di chi le osserva. Perché, in fondo, Killing è un inno pacifista che rompe ogni tradizione cinematografica sul tema dei samurai.

Le scene di combattimento e di duello sono orchestrate come coreografie, danze in cui a ogni movimento ne corrisponde un altro. Salti e giravolte non mancano e il commento musicale, in sincronia con i movimenti, contribuisce alla sensazione di trovarsi di fronte a un ballo piuttosto che a uno spargimento di sangue. Nei momenti più concitati del racconto, le immagini della telecamera a mano diventano mosse e sporche, infondono ansia, vertigine e persino nausea. Si ha l’impressione che Tsukamoto voglia richiamare tutti i sensi dello spettatore che, travolto da colori, movimenti e suoni, finisce per entrare nel racconto e divenirne parte, testimone silenzioso. Non mancano poi momenti di liricità: le carezze tra Tsuzuki e Yu tra le canne di una baracca sono insolite, tanto sensuali quanto tenere. Difficile infine non notare la relazione tra guerra e sesso: non solo nello stupro che Yu subisce ma anche nelle due differenti scene in cui Tsuzuki si masturba, allegoriche dei sentimenti o dei tormenti che vive.

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