Regia di Jonah Hill vedi scheda film
FuckShit.
Per il suo esordio dietro alla macchina da presa Jonah Hill - classe 1983, 13 anni nel 1996 (“SuperBad”, “Cyrus”, “MoneyBall”, “the Sitter”, “21/22 Jump Street”, “Django Unchained”, “This Is the End”, “the Wolf of Wall Street”, “Hail, Caesar!”, “War Dogs”, “Don't Worry”, “the Beach Bum”, “Maniac”) -, qui anche davanti alla macchina da scrivere e col portafogl'in mano sganciando alla romana assieme a Scott Rudin, Eli Bush e A24 (molto carina la stilizzazione del logo in apertura realizzata con gli skateboard parcheggiati), da una parte assimila la lezione di Gus Van Sant (“Paranoid Park”), Harmony Korine [“Gummo”, “Julien Donkey-Boy”, e in parte Larry Clark (“Kids”, “Ken Park”) e Gregg Araki (“Mysterious Skin”)] e David Gordon Green (“George Washington”, “UnderTow” e “Joe”) - tutti registi, questi, con cui, all'epoca della produzione di “Mid90s”, aveva già lavorato o con i quali s'appresterà a lavorare di lì a poco nell'immediato -, e, ma più a latere, per differenti ragioni, Stacy Peralta {e Catherine Hardwicke [(Lords of) DogTown (and Z-Boys)]}, Sean Baker ("the Florida Project") e Jeff Nichols (“Mud”), innestandola sul proprio vissuto - non necessariamente coincidente con la storia messa in scena - e, dall'altra, dialoga a distanza (ravvicinata) con altri esordi suoi contemporanei, e penso a “Hide Your Smiling Faces” di Daniel Patrick Carbone, “King Jack” di Felix Thompson, “Super Dark Times” di Kevin Phillips (che ne condivide anche l'ambientazione di metà anni '90) e, da oltre-atlantico, “Violet” di Bas Devos [e, più pacifica(ta)mente, “i Cormorani” di Fabio Bobbio].
Cast interessante e bellissimo, ben amalgamato e ottimamente affiatato, composto da attori emergenti (Sunny Suljic, il protagonista, Lucas Hedges, suo fratello maggiore, Alexa Demie, “...non credevi che il paradiso...”), affermati [Katherine Waterston (“Inherent Vice”, “Queen of Earth”, “Alien: Covenant”), la giovane madre] ed esordienti (Na-kel Smith, Olan Prenatt, Ryder McLaughlin, Gio Galicia).
Fotografia che utilizza perfettamente l'1.33:1, ma stiamo parlando di Christopher Blauvelt, sodale di Kelly Reichardt (“Meek's CutOff”, “Night Moves”, “Certain Women”, “First Cow”). Montaggio di Nick Houy (“the Night Of”, “Lady Bird”, “Little Women”).
Musiche: non originali di Trent Reznor e Atticus Ross, al solito efficaci, attenti, dolci, consoni, energ(et)ici e partecipi, e originali pescate non solo nel bacino diegetico dell'era clintoniana (Nirvana, Wu-Tang Clan, Cypress Hill, Misfits) e dintorni (Morrissey), ma pure nella memoria storica imperitura (the Mamas & the Papas), e a tal proposito si consideri il magnifico utilizzo della “WaterMelon Man” di Herbie Hancock.
Un piccolo film adulto, sincero, esposto, abraso, lacerato, potente, sorprendente, convincente.
* * * * ¼ (½)
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