Regia di Alexander Kluge vedi scheda film
Happy Lamento, ultima opera squinternata di Alexander Kluge, è un esperimento pirotecnico che alterna riprese alla steady-cam, splitscreen stordenti e animazioni da pura videoarte. L'intento sembra quello della costruzione di una foresta di segni - più o meno filmici - in cui orientarsi per dare in qualche modo una nuova definizione alle cose, se vogliamo ai simulacri dell'attuale e del contemporaneo. Tra parabola ecologista e confusa anarchia, Kluge sfodera il più sfrontato armamentario di idee fuori sincrono: tempi sbagliati, suoni interrotti, leitmotiv vocali insistenti, voci fuoricampo e descrizioni scritte, enormi declamazioni godardiane al neon. Eppure, l'allusione è sempre ben definita e centrata, ed è sempre un preciso ammiccamento allo spettatore. Dopo una pedante e non necessaria dichiarazione di intenti scritta a lettere cubitali "I FILM NON DEVONO ESSERE BELLI, E NON DEVONO AVERE TRAMA O NARRAZIONE" (il succo è questo), il film inizia ad alternare riferimenti più o meno casuali a grosse sovrastrutture storiche e biologiche (la luna, il fuoco, Trump, gli elefanti) a quella che invece è la parte più riuscita del film, cioè a dire quella in cui il film va inseguendo un gruppo di teppistelli filippini di Manila, che vanno in giro a distruggere e demolire tutto travestiti come eroi koriniani di un mondo disperato, presentati tutti con scritte gigantesche e descrizioni accurate delle loro caratteristiche, come vere icone di un cartone animato - vedasi al riguardo l'essenziale Team Hurricane di Annika Berg, presentato alla Settimana della Critica di Venezia 74. Particolarmente d'impatto, nella parentesi filippina, è la prima sequenza ambientata a Manila: il cadavere nudo di una donna stuprata e massacrata osservato da una telecamera attaccata alla testa di un indefinito quadrupede. Senonché la sfrontatezza della mise en scène nasconde sempre una parabola ecologista e molto semplicistica di un mondo che forse stiamo distruggendo con le nostre stesse mani. In sintesi, dobbiamo aspettarci le peggiori conseguenze.
Kluge cerca sempre di essere il più allusivo e dissimulatore possibile, la qual cosa si addice ad un grande autore; ma formalmente arriva in ritardo di un bel po' di anni rispetto agli ultimi esperimenti godardiani, in cui la reazione dello spettatore in termini percettivi è sempre concettualmente messa in gioco e discussa. In Happy Lamento non sembra esserci dialogo, ma monologo.
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