Regia di Rithy Panh vedi scheda film
Film di apertura a Venezia75 per le Giornate degli Autori.
Les tombeaux sans noms del cambogianoRithy Panhè il film di apertura a Venezia75 per le Giornate degli Autori.
Un documentario che si pone fuori dal genere e della vicenda a cui si riferisce non ricostruisce coordinate storiche nè dà valutazioni politiche.
Dunque un sutra, un lungo canto di morte che musica e poesia aiutano ad elaborare, un girovagare senza meta per quelle terre cambogiane che si coprirono di cadaveri e ora sono tombe senza nome di amici, fratelli, padri e madri.
Panh aveva 13 anni quando riusci a sfuggire alla mattanza, e perse tutto.
Dopo L’immagine mancante ed Exile, neLes tombeaux sans noms c’è una ricerca di pace affidata alle preghiere di una vecchia madre che celebra i riti sacri del suo credo e alla voce di Randal Doucche narra in francese mentre tornano in mente altri stermini e altre voci che invocavano pietà:
“Fingiamo di sperare di nuovo davanti a questa immagine che si allontana come se si guarisse da questa peste. Fingiamo di credere che tutto ciò è di un solo tempo e di un solo Paese e non pensiamo a guardarci intorno, e non sentiamo che si grida senza fine.” (A.Resnais,Notte e nebbia)
In un’edizione veneziana segnata quest’anno da una singolare fioritura di recuperi della memoria Panh ci riporta agli anni settanta, quando una delle dittature più violente del Ventesimo secolo nel giro di poche ore costrinse la popolazione di Phnom Penh – circa 2 milioni di persone – a lasciare la città per una migrazione forzata che distrusse il Paese disseminando morte e terrore.
Chi non ricorda i nomi famigerati di Pol Pot e dei khmer rossi, le sue guardie armate?
Dal 17 aprile 1975, quando i comunisti cambogiani conquistarono Phnom Penh entrando con carri armati e deportando in massa la popolazione al 1979, quando crollò il regime, il Paese divenne una fossa comune che oggi può restituire solo brandelli di ossa.
Eppure quei frammenti strappati alla terra oggi sono l’emozione che continua, la vicinanza che mancava.
La vecchia madre dispone sul terreno foto ingiallite di uomini, donne e bambini, due vecchi contadini parlano di quei giorni e quei brevi racconti ricostruiscono il tessuto connettivo lacerato di vite che conobbero fame, sete, dolore disumano, morte violenta.
Gli anni che passano rendono la memoria immateriale, bisogna radicarla a un suono, un colore, una materia.
Come il Cile raccontato da Patricio Guzmàn in Nostalgia de la luz, dove madri, mogli, sorelle dei desaparecidos percorrono da anni i fiumi di pietra del deserto di Atacama alla ricerca di tracce dei loro cari, accompagnate dai loro strumenti, chitarra, arpa, piano, clarinetto, duduk e whistle.
Il sound di Rithy Panh ha le sonorità spesso dolci e spesso laceranti di quei paesi, i khmer rossi
si accanirono anche sulla musica e trucidarono un’intera generazione di musicisti.
Il recupero in atto di quella tradizione passa anche attraverso questo film doloroso e dolcissimo.
www.paoladigiuseppe.it
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