Regia di Andy Mitton vedi scheda film
La risposta maschile al filone scaturito con Babadook. Più profondo di un film di genere, The witch in the window rappresenta un raro esempio di cinema che fa riflettere. Fa anche paura, quel tipo di paura atavica che sta celata nel nostro DNA, pronta ad emergere di fronte alle ombre, ai riflessi, che magari appaiono su una vecchia finestra.
Per dare esemplare punizione al piccolo figlio Finn (Charlie Tacker) -colpevole di avere navigato in internet senza autorizzazione- Beverly lo affida per qualche giorno al papà, Simon (Alex Draper). Da New York, l'uomo (turbato dal divorzio in atto) conduce il piccolo in Vermont, dove ha acquistato una casa da ristrutturare. Simon, mentendo al figlio, sostiene di volere praticare l'house flipping, ovvero una manovra economica speculativa sulla compravendita immobiliare. In realtà le intenzioni sono quelle di riallacciare con la moglie, per tenere unita la famiglia, allontanandosi dalla frenetica vita di New York e poi tentare di stabilirsi nella nuova dimora. L'elettricista locale, incaricato di mettere mano all'impianto elettrico, racconta un dettaglio macabro sulla precedente inquilina di nome Lydia (Carol Stanzione), conosciuta come strega e trovata morta, mentre guardava fuori dalla finestra del sottotetto, soltanto dopo settimane dal decesso.
"Era solita sedere alla finestra sul davanti e guardava fuori. Un'estate, ci accorgemmo tutti che pareva non lasciare mai quel posto. Fosse giorno o notte. Allora qualcuno capì e chiamò la polizia. Era rimasta lassù, morta da tre o quattro settimane." (Louis)
Terzo lungometraggio per il promettente Andy Mitton -dopo YellowBrickRoad (2010) e We go on (2016)- qui coinvolto in ogni possibile ruolo: scrive, produce, realizza la malinconica colonna sonora e dirige. Evidentemente ha particolarmente a cuore il progetto e vi ripone (nella realizzazione) una profonda dedizione. E il risultato, di tutto rispetto, si vede. The witch in the window è una delicata, romantica, quasi straziante pellicola dedicata al rapporto padre/figlio. Un dramma girato tutto al maschile (cosa già di per sé eccezionale) che va a porsi così agli antipodi di titoli tipo Babadook, The boy, Under the shadow o Somnia, ovvero horror (solo per citarne alcuni) di tipo matriarcale e femminista. La differente impostazione di Mitton, con deriva nel genere stregonesco solo a tre quarti di girato, rende la visione qualcosa di emotivamente coinvolgente e di immediata immedesimazione. Che lo spettatore si identifichi nel ruolo paterno o in quello del figlio, la fruizione di The witch in the window comporta un interessante momento di riflessione su tematiche profonde e spesso censurate. La violenza che arriva dai telegiornali, a turbare gli animi di ragazzi sensibili ad esempio, più che da internet; le bugie dei genitori dette a fin di bene per indurre la prole in uno stato di tranquillità e sicurezza -spesso- irragionevole.
I dialoghi intelligenti, la decadente scenografia, una malinconica e struggente colonna sonora: Mitton orchestra con classe ogni elemento di cui dispone per convincere lo spettatore di (non) trovarsi di fronte ad un horror. E in questo sceglie non a caso il Vermont, area dove la caratteristica Vermont window o Witch window o, talvolta, detta anche Coffin window appare a più riprese nelle architetture locali, in particolare in talune fattorie del Secolo scorso. Ovviamente nel film la "strega è alla finestra" e questo rompe il legame con il folclore popolare della Window witch. Resta il fatto che, al di là della componente horror (di tipo implicito, suggerito, sullo stile di Val Lewton o Jacques Tourneur) il regista riesce ad insinuare, sottopelle, un costante stato di incertezza e ambiguità, ottimamente amplificata dalle perfette interpretazioni dei due fondamentali -e fenomenali- protagonisti: Alex Draper, credibile padre in crisi perché in costante allontanamento dalla famiglia, e Charlie Tacker, figlio malinconico, triste e costretto a vivere il tragico distacco dei genitori. The witch in the window -pur facendo gelare il sangue nelle vene quando è il momento (che meno ci si aspetta)- rappresenta essenzialmente un romantico esempio di viaggio anche contrastato, ma mano nella mano, tra padre e figlio. Un viaggio verso i più oscuri territori dell'abbandono; un viaggio in coppia destinato però a concludersi in solitudine di fronte a una delle tante biforcazioni che si incontrano nella vita. Quelle biforcazioni dolorosissime e purtroppo inevitabili che ci lasciano pietrificati, inermi, congelati proprio come se fossimo di fronte a una strega, non necessariamente più malvagia di tanti nostri simili.
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