Regia di Abdelhamid Bouchnak vedi scheda film
VENEZIA 75 - SETTIMANA DELLA CRITICA
Tre studenti tunisini di un corso di giornalismo decidono di unire le forze per assolvere ad un lavoro ricevuto da parte di un loro professore: si tratta di montare uno scoop su un argomento a scelta: qualsiasi storia, di qualsiasi genere ed argimento che non abbia tuttavia a che fare con i fatti legati alla cosiddetta "Primavera araba".
Su consiglio di uno di loro, i tre rispolverano un antico caso irrisolto inerente il ritrovamento in un bosco di una giovane sgozzata, ma per un caso fortuito rimasta in vita dopo essere stata soccorsa. Dicerie infondate diedero la giovane vittima di antichi rituali inerenti donne partorienti, e, sempre secondo voci di popolo, la donna, pur guarita dalle profonde ferite, non si sarebbe mai più ripresa dal punto di vista psicologico, essendo anche stata sorpresa in atteggiamenti e situazioni al limite del normale, come in preda a deliri e ad effetti di magia nera. L'indagine condurrà i tre sino alle origini dell'atroce crimine, nonostante l'intervento risoluto del nonno della ragazza del gruppo, che sembra sapere qualcosa di importante a proposito di quel macabro fatto, restando tuttavia altamente evasivo e reticente.
L'horror efferato che viene, ed è una circostanza insolita e ghiotta, dalla Tunisia. La ricerca della verità a proposito di una vecchia storia di tentato omicidio tramite sgozzamento ai danni di una giovane poi sopravvissuta e ricoverata e data per pazza; un rituale terrificante che si annida in antiche tradizioni rituali che le vecchie generazioni nascondono subdolamente e passivamente.
La tendenza di chi sa a celare tetri segreti occulti alle nuove leve, rifiutandosi - a differenza di questi ultimi - curiosi ed avventati - di reagire, per documentare, scoprire ciò che si cela dietro una terribile verità.
Dachra, opera prima del giovane regista Abdelhamid Bouchnak, è horror concitato e di grande impatto scenico, forte di un montaggio serrato, e che non rinuncia ai cliché di genere più comuni, forse anche scontati, traducendoli tuttavia con pertinente efficacia, adattandoli e riproponendoli con la coerenza che si fa forza su locations assai suggestive, tetre ed inquietanti.
Permettendosi pure il lusso di citare due maestri come Wes Craven e addirittura Hitchcock, in due scene consecutive che ripropongono le due sequenze forse più note di entrambi i cineasti, senza contare che lo stesso cineasta riferisce di essersi ispirato per alcune sequenze (ma ammetto che mi sia completamente sfuggito l'accostamento), all'altro horror cult "Non aprite quella porta" di Tobe Hooper.
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