Regia di Rahi Anil Barve, Adesh Prasad vedi scheda film
Venezia 75 - Settimana della critica.
«Nel mondo c'è quanto basta per le necessità dell'uomo, ma non per la sua avidità». (Mahatma Gandhi)
Una buona posizione economica consente di vivere più serenamente e di mettersi alle spalle una serie di difficoltà, che altrimenti rischierebbero di minare anche gli animi più determinati. In ogni caso, il denaro può creare dipendenza, spingendo l'uomo a compiere azioni sprovvedute pur di entrarne in possesso, facendo dimenticare la lista essenziale delle priorità. Una volta perso il controllo, tornare sui propri passi è terribilmente complicato.
India. Nella periferia di Tumbbad, il giovane Vinayak è convinto che la sua bisnonna, trasformatasi in strega per colpa di una maledizione, possa rivelargli come arrivare alla fonte di un'ingente ricchezza, sufficiente per renderlo ricco oltre ogni sua più rosea aspettativa. Ovviamente, la strada per arrivarci contempla un'alta percentuale di rischio.
Divenuto adulto, Vinayak continua imperterrito a sfidare il fato pur di mantenere l'alto livello di benessere raggiunto, ormai inghiottito da un vortice di avidità che risucchia anche chi gli è vicino.
In una terza fase, verrà coinvolto anche suo figlio, ulteriore tassello di una catena che deve essere spezzata quanto prima.
Il fantasy non è necessariamente una semplice questione di spettacolo ed effetti speciali roboanti, come molte produzioni americane inducono a farci credere, ma può essere anche uno strumento per apporre una riflessione, per guardare al passato e specchiarci il presente, senza puntare il dito indice su uno specifico soggetto.
Un'azione meritoria di cui s'incarica Tumbbad, una produzione (principalmente) indiana, che ondeggia tra una tradizione arcaica e vizi radicati nella società moderna.
Un affresco che non affoga in quelle colorazioni eccessive proprie della stragrande maggioranza delle pellicole indiane, optando per tonalità scure, fatto salvo una propensione per il rosso, colore del fuoco e del sangue, utilizzato per delineare il peggior luogo - la tana del male, ma anche della ricchezza - in cui chiunque sia sano di mente non vorrebbe mai trovarsi. Per lo meno sarebbe così se l'uomo non continuasse a cadere sempre negli stessi errori, per cui una sorgente d'oro annebbia il pensiero e la cupidigia prevale sulla ragione, annientandola.
Una contingenza senza apparente via d'uscita che Tumbbad inquadra attraverso una facciata visivamente imponente, con un largo ricorso a espedienti collaudati, trucchi del mestiere saldati con lucidità. Così, i bambini devono fronteggiare veri e propri mostri, una maledizione ottenebra tutto quanto le capiti a tiro, l'oscurità e voci sinistre non mancano all'appello e la mutazione del male non s'interrompe mai, alimentata dall'uomo, principale vittima e - allo stesso tempo - carnefice di se stesso.
In questo modo, con una suddivisione in tre capitoli ambientati in un arco temporale plurigenerazionale, prende corpo un meccanismo in possesso di una declinazione vagamente horror (almeno in corrispondenza del redde rationem finale), una parabola critica incardinata su una ruota che gira perpetua per poi fermarsi ripetutamente sugli stessi numeri tentatori, suggerendo di vivere privilegiando parametri raggiungibili e sani, prima di tutto la libertà (un privilegio spesso sottovalutato), di accontentarsi e non spingersi oltre il lecito bramando ciò che reclama un tornaconto, non valutabile nel momento opportuno.
Un impasto croccante ed evocativo, contrassegnato da una spiccata comunicatività.
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