Regia di Andreas Goldstein vedi scheda film
Venezia 75 – Settimana della critica.
Fino al momento in cui non si ottiene una posizione a tempo indeterminato, quella che infonde sicurezza e regala soddisfazioni senza definire una deadline, è automatico vaneggiare sul futuro, stabilendo degli obiettivi da raggiungere, tanto più quando la società di appartenenza offre improvvisamente una grande chance, anelata da sempre.
Far collimare un cambiamento radicale con quel poco che si vuole mantenere integro, è il primo grande passo e anche il più duro, soprattutto se di mezzo c’è un rapporto che subisce il contraccolpo inflitto dall’arrivo di una nuova luce.
Estate 1989, Germania Est. Adam (Florian Teichtmeister) è un sarto stimato, mentre Evelyn (Anne Kanis) deve ancora costruirsi una posizione stabile e sogna una vita diversa, quelle opportunità che ha solo sognato e potrebbe trovare trasferendosi in un’altra nazione. La loro relazione di coppia è agitata dai cambiamenti in atto, che amplificano la distanza del loro modo di vedere il futuro.
Altre vicissitudini rendono la congiuntura ancora più complicata, ma Evelyn è intenzionata a combattere con tutte le sue forze per cogliere al balzo l’occasione.
La libertà di scelta è una grande conquista. Oggi, troppe volte è data per assodata e nemmeno ci si rende conto della fortuna di cui disponiamo, mentre se irrompe dopo decenni, crea delle fratture che, oltre a possibili gioie, comportano anche una dose di dolore.
Già, il mondo cambia, ma le persone non è detto facciano lo stesso: c’è chi si accontenterebbe volentieri di ciò che ha e chi è proiettato con cocciutaggine verso un futuro diverso, lidi promettenti, sicuramente più accoglienti.
Differenze sostanziali insite in Adam & Evelyn, una storia sentimentale sviluppata su una fondamentale svolta storica qual è la caduta del muro di Berlino, con l’umore principale sedimentato sulle scelte, sulla difficoltà di scendere a patti, tra rinunce e nuovi orizzonti da appuntare in agenda.
Il momento di passaggio si riflette anche sull’atmosfera generale, che vede prevalere un uniforme grigiore, sguardi monocordi e alcune accensioni di vitalità, deputate quasi esclusivamente al personaggio di Evelyn.
Volgendo lo sguardo al presente, è ancora la donna a determinare quel che verrà, mentre quel mondo che stava cambiando, aprendosi dopo decenni di tensione, è situato su una traiettoria antitetica a quella odierna, avviata su un processo di chiusura.
Stimoli che Andreas Goldstein officia senza scivolare eccessivamente sulla retorica, almeno non esplicita (eccezion fatta per la lettura casuale di un passo della Bibbia, focale per rileggere il rapporto tra Adam ed Evelyn), con una messa in scena integra e uno svolgimento composto, che non perde la pazienza, ma anche quasi completamente privo di sussulti (tra questi, un colloquio di Evelyn, necessario per ripartire).
Una composizione trattenuta, che richiama il grigiore della Repubblica Democratica tedesca (RDT) e le scorie interiori che richiedono anni per lo smaltimento, soffocata per principio, con più di un fraseggio di relativa utilità e tagli marcati.
Altalenante nella resa, con contenuti idonei a più di una riflessione.
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