Regia di Elio Petri vedi scheda film
Ludovico Massa, soprannominato Lulù, è operaio in una grande fabbrica del Nord Italia. Dovendo contribuire al mantenimento di diverse persone - ha un figlio ed una moglie, da cui è separato, e convive con un'altra donna, la quale a sua volta ha un altro figlio - s'impegna al massimo sul lavoro, potendo di conseguenza avere un buon reddito grazie al meccanismo del cottimo. Ciò rende soddisfatti quadri e dirigenti aziendali, ma lo rende inviso ai colleghi. E' un periodo di tensioni sociali; ogni giorno studenti di estrema sinistra si presentano presso i cancelli dello stabilimento per rimproverare i sindacati "tradizionali" di eccessiva moderazione ed invitare i lavoratori a ribellarsi al meccanismo del cottimo. A Lulù tutto ciò non interessa, finchè, a causa di un incidente sul luogo di lavoro, perde un dito di una mano. Ciò cambia le sue prospettive e lo porta ad una presa di coscienza, ma anche ad una reazione scomposta che lo conduce ad una crisi lavorativa e familiare. Il regista Elio Petri tratteggia con spirito estremamente critico un periodo storico di aspri confronti sociali. In particolare, l'analisi dell'autore romano è dedicata ai lavoratori, una categoria che egli vede come molto frammentata. Gli operai, tradizionalmente immaginati come dotati di coscienza di classe e uniti tra loro, a cagione della comunanza di interessi e difficoltà, sono, in questo contesto, presentati come divisi, quasi "strattonati", chi di qua, chi di là, dai vari stimoli che giungono dall'esterno. Da un lato il guadagno. Il meccanismo del cottimo consente di percepire una retribuzione in rapporto alle prestazioni rese; un maggior reddito consente di soddisfare non solo le necessità basilari, ma anche di godere pienamente del benessere al quale da diversi anni s'è affacciata la nazione; televisori, automobile, e quant'altro, sono ormai alla loro portata. Da un altro lato, gli inviti alla lotta per i diritti. Il registra non offre un'immagine positiva. Gli studenti che ogni giorno accompagnano l'ingresso degli operai in fabbrica danno impressione di inconcludenza. Ripetono meccanicamente i loro slogan, scagliano invettive contro le rappresentanze tradizionali, ma non sono, poi, in grado di fare alcunchè, nel momento in cui Lulù, in estrema difficoltà, si rivolge a loro. Dal canto loro, i sindacati trovano una soluzione per il protagonista; ma non escono positivamente dalla vicenda. La loro azione sembra avvolta nell'oscurità; unici depositari della facoltà di contrattare con i "padroni" - che non appaiono mai - non rendono chiarezza sui vantaggi del loro operare. Un bravissimo Gian Maria Volontè è Lulù; L'attore milanese interpreta un protagonista sempre su di giri, abituato alla voce tonante di chi per tanti anni ha dovuto parlare con i colleghi sovrastando i rumori delle macchine, alienato dal una dinamica perversa che lo vede in costante affanno per soddisfare le aspettative altrui e la propria necessità di denaro. Lulù, un trentunenne cui darei almeno quindi anni di più, fa un vanto - quasi fossero decorazioni - dei danni alla salute ricevuti in tanti anni di dedizione al lavoro; è ossessionato dalla propria ripetitiva attività, con la quale ha un rapporto di amore / odio. Non riesce a comunicare con i familiari e le persone che gli sono vicine. Il suo incidente lo spinge ad un repentino cambio di prospettiva, probabilmente accelerando un processo già in atto. Non ne ricava che guai; la sua vicinanza con personaggi di estrema sinistra spinge la compagna, Lidia (Mariangela Melato) ad allontanarsi da lui; non trova comprensione nella famiglia dell'ex-moglie. Solo i bambini gli mostrano affetto. I compagni di lavoro non condividono immediatamente le sue istanze; alcuni, memori dei suoi trascorsi, continuano a guardarlo con sospetto. I rappresentanti del "padrone" sono, infine, inferociti perchè non possono più fare della sua dedizione al lavoro un esempio. Coinvolto in prima persona in scontri con la polizia, è licenziato. Gli dà conforto un ritrovato rapporto con l'ex-collega Militina, un uomo più anziano, ricoverato in manicomio dopo aver subito la medesima sorte. Militina lascia comprendere d'essere uno di quelli che "hanno capito il gioco"; dalla sua posizione di "matto", ormai al di fuori del vortice di dinamiche umane e sociali, può osservare e valutare senza filtri. Ad una sorta di consapevolezza giunge anche il protagonista; nel momento in cui è riassunto, torna ad essere parte delle suddette dinamiche. Ma il sogno che racconta lascia intendere che anch'egli, probabilmente, ha, almeno a livello inconscio, "capito il gioco". E questa verità vuole che ... le cose cambino senza rivoluzioni, procedendo per piccoli passi, per spinte generate da meccanismi non facilmente comprensibili dai singoli. Ulteriore nota positiva, l'evocativa ricostruzione dell'ambiente della fabbrica, un luogo di lavoro spersonalizzante, nel quale gli operai svolgono senza il minimo entusiamo la propria attività tenuti d'occhio da tecnici che ne misurano i tempi. Un ottimo film, dunque, tanto per la vicenda umana, quanto per le dinamiche sociali - sulla quale essa è imperniata - che descrive. Grande prova attoriale per Gian Maria Volontè, buona colonna sonora di Ennio Morricone.
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