Regia di Elio Petri vedi scheda film
Meglio di un trattato di sociologia, questa geniale pellicola affronta con un coraggio davvero notevole, dati anche i tempi in cui venne girata, i problemi relativi alla classe operaia, alle sue reali aspirazioni e ai suoi fantasmi.
Merito anche, e direi soprattutto, della splenida interpretazione che ci regala Gian Maria Volonté nei panni del metalmeccanico Lulù Massa, uno schiavo non tanto del lavoro che lo travolge, quanto di un sistema di vita improntato alla ricerca del guadagno fine a se stesso. Massa è un fervente sostenitore del lavoro a cottimo, ovvero di quel sistema di produzione industriale che lega una parte della retribuzione alla quantità di prodotto finale resa in più rispetto ai minimi contrattuali.
Mantenendo ritmi infernali Lulù riesce a portare a casa quei soldi che gli dovrebbero consentire una qualità di vita migliore. Il condizionale è però d'obbligo poiché la vita stressante che conduce lo porta ad avere problemi di ogni sorta: di salute (a soli 31 anni si ritrova malato di ulcera) di rapporti con i compagni di lavoro (che non sopportano il suo modo di intendere il lavoro) e soprattutto con i familiari. Ha un figlio che vede pochissimo a causa della separazione dalla moglie e una compagna con cui non riesca ad avere una vita di coppia felice a causa dello stress fisico e mentale che si porta anche tra le mura domestiche.
Insomma una vita da schiavo fine a se stessa dato che ben lungi dall'avere un miglioramento delle proprie condizioni si ritrova in preda alla totale alienazione.
Tutto cambia quando a causa di un incidente sul lavoro riporta una menomazione (la perdita di un dito). Massa prende allora coscienza di quanto sia inumano un sistema di produzione come quello in cui si trova coinvolto e non trovando sufficiente conforto nei sindacati istituzionali (che di colpo trova molto più vicini alle posizioni padronali di quanto non potesse pensare) si rivolge alle frange estremiste della protesta, incarnata in uno studente fuoricorso di lungo periodo. Questo però alla fine si rivela un parolaio senza spessore: i proclami e gli slogan declamati al mattino ai cancelli della fabbrica sono solo la ripetizione acritica di proclami e slogan sentiti da altri, nella sostanza vi è il nulla più assoluto.
Geniale! Questo mi sento dire di questo film, geniale e coraggioso nella rappresentazione lucida e spietata del mondo della fabbrica di cui gli operai sono al tempo stesso vittime e complici, presi dal miraggio poco progressista e molto borghese di "fare moneta". Geniale anche l'ambientazione ideata dal regista Elio Petri: tutto la vicenda si svolge al chiuso del capannone industriale e nella casa del protagonista, gli unici esterni sono quelli surreali di una fabbrica immersa in un panorama nevoso.
Nel mondo descritto in questa pellicola la bellezza della natura è totalmente prescritta, l'alienazione di chi ci vive è pressoché totale.
Finale falsamente buonista, con Lulù riassunto e di nuovo nella trincea del superlavoro. E in mezzo al fracasso assordante dei macchinari racconta ai comagni il suo sogno: un muro di nebbia al di là del quale si trova (forse?) il paradiso della classe operaia.
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