Regia di Elio Petri vedi scheda film
Ludovico Massa detto Lulù è un operaio tornitore della BAN, una fabbrica lombarda. E’ un cottimista, odiato e preso in giro dai compagni di lavoro, vive con una parrucchiera e suo figlio, mantiene la ex moglie e il figlio naturale che vivono con un collega. Un giorno perde un dito e piano piano prende coscienza della sua condizione di sfruttato. All’ingresso della fabbrica gli operai vengono accolti da una voce che li invita a trattare bene la macchina con cui dovranno lavorare. All’esterno invece studenti dell’estrema sinistra scandiscono i loro slogan:”Operai voi state entrando in carcere, oggi dopo otto ore di lavori forzati uscirete e sarà buio, per voi il sole e la luce del giorno non splenderà…”. Alcuni operai seguono i loro motti, “alla violenza padronale si risponde con la violenza operaia”, mentre i sindacati invitano a non cadere nella violenza e a concertare partendo da una rimodulazione del cottimo. Massa che è uomo rude e istintivo dopo l’incidente oscilla tra i due gruppi, da stakanovista passa agli estremisti. Durante un tentativo di sciopero a oltranza le due fazioni si dividono, Lulù partecipa attivamente agli scontri soprattutto contro i crumiri. Il giorno dopo riceve una lettera di licenziamento e non viene fatto entrare alla BAN. Disperato chiede aiuto e solidarietà al movimento studentesco, ma la reintegrazione al lavoro la otterrà solo grazie all’intervento decisivo dei sindacati. LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO è un film mitico del ’72, scritto da Ugo Pirro e Elio Petri, diretto da quest’ultimo. Gian Maria Volontè è un mimetico e impressionante Lulù Massa dal pesante accento milanese. Il suo personaggio è l’emblema della condizione operaia di trenta quarant’anni fa, “l’alienazione dell’uomo moderno nella società capitalistica e consumistica”. Condizione oggi “superata” con l’omologazione totale e purtroppo sorpassata in peggio dalla piaga del precariato. Lulù roso dall’ulcera “ho uno squarcio sullo stomaco”, dai complicati affetti familiari, dallo scarso appetito sessuale, se non in fabbrica (il culo dell’Adalgisa come singolare metodo di concentrazione lavorativa) e in modo meccanico, scomodo e sofferto (sempre con l’Adalgisa). Egli è anche un operaio che con il cottimo fa la vita da piccolo borghese, ha l’appartamento pieno di cose inutili, acquisti e gadget della società dei consumi, legge TUTTOSPORT, guarda Carosello e Mike Bongiorno (ha persino due televisori). Vittima dell’alienazione e della produttività è sull’orlo dell’esaurimento e teme di finire come l’amico ex cottimista della BAN Militina (il grande Salvo Randone) rinchiuso in manicomio. Questi, durante le visite di Massa, cita a casaccio Mao e disquisisce sul cervello che a un certo punto sciopera per i ritmi frenetici del lavoro e della modernità. Inoltre filosofeggia sulla sua condizione:”Noi poveri diventiamo matti perché abbiamo pochi soldi e i ricchi perché ne hanno troppi”. Lo stile di Petri (tuttora affascinante) era una miscela riuscita ed esplosiva di grottesco, commedia allegorica ed espressionismo fatto di primi piani quasi sempre imperniato sulla politica e la società italiana. Ne LA CLASSE… esalta, urla con rabbia temi scottanti quali la fabbrica, il lavoro duro e le ingiustizie sociali, dà dei giudizi per niente teneri sull’estremismo velleitario degli studenti (forse citando Lenin “l’estremismo è la malattia infantile del comunismo”), valorizzando e approvando invece l’unità sindacale come unica via di salvezza possibile, ieri come oggi. Preziosi gli apporti di Ennio Morricone (roboante e invadente a dovere), Luigi Kuveiller (il braccio destro visivo dello stile petriano) e alcuni volti teatrali come Mariangela Melato, Luigi Diberti, Luigi Uzzo e Flavio Bucci.
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