Regia di Mike Nichols vedi scheda film
Il titolo può trarre in inganno, facendo immaginare chissà quali scene hard (e difatti per anni ce l’ho avuto in una vhs appartenente a una collana a luci rosse). In realtà è la storia di due amici dagli anni del college alla maturità anagrafica (coincidente per entrambi, in modo diverso, con una perpetua immaturità umana): fin dai titoli di testa li sentiamo discutere se sia meglio amare o essere amati, come se fossimo in una corte dell’antica Provenza, e la prima parte segue la loro educazione sentimentale, o meglio la loro graduale scoperta del sesso grazie alla stessa ragazza (abbordaggio, appuntamenti, baci, petting, rapporto completo). Era profondamente giusto che la prosecuzione ideale de Il laureato dovesse essere firmata dallo stesso Mike Nichols, perché i due film sono le facce di una stessa medaglia: uno mostra ciò che si è da giovani, l’altro ciò che si diventa con l’avanzare dell’età. La seconda parte racconta puntigliosamente le varie tappe di questo progressivo imputridimento dei sentimenti: l’insensatezza della vita quotidiana, le piccole incomprensioni che lasciano il segno, le disfunzioni erettili, lo scambio di coppie (abortito), la proiezione delle diapositive che documentano le conquiste femminili, la relazione con una ragazza che potrebbe essere una figlia, fino a una conclusione sublime nel suo indicibile squallore; siamo sempre e comunque in un inferno domestico, che si tratti di una pacata routine o di una sistematica conflittualità o di una solitudine senza speranza. Il regista lascia che molte cose accadano fuori campo, regala lunghi monologhi in primo piano ai due protagonisti e a volte inquadra chi non parla (come nella meravigliosa scena in cui Sandy e Susan organizzano la loro prima vacanza insieme, dove sentiamo solo le loro voci e vediamo Jonathan che le ascolta). Ma l’ultima, struggente immagine è quella di una pattinatrice che piroetta sul ghiaccio: la leggerezza perduta della gioventù.
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