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Dolor y gloria

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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La recensione su Dolor y gloria

di IlCinefilorosso
8 stelle

Pedro Almodòvar firma un racconto intimista sincero e profondo, che chiude (attraverso riflessioni teoriche e filosofiche) il proprio cerchio stilistico-ideologico. Nel testo si va dal dolor alla gloria, ma anche all'inverso, e proprio per questo l'opera assume i connotati di un Melò dal grande respiro.

Laddove il mezzo primo piano iniziale di Antonio Banderas/Salvador Mallo immerso nell'acqua di una piscina (liquido amniotico che rimanda ad una ri-nascita) sembra quasi metaforizzare i presupposti dell'intera opera (quelli di un totale sprofondamento e presa di coscienza di sè), Dolor y gloria concentra il proprio fulcro narrativo attorno alla correlazione cinema-vita-autobiografia, mostrando fin da subito una maggiore ed ulteriore ambizione rispetto a lavori precedenti come "Gli amanti passeggeri" e il (pur bellissimo) Julieta.

"Il tasso di autobiografia che c'è in Dolor y gloria sul fronte dei fatti è il 40%, ma quello che riguarda un livello più profondo, si tratta del 100%; con il suo ultimo testo, Pedro Almodòvar riflette sulle dinamiche del processo creativo, affidando alla macchina cinema il compito di disegnare un tracciato che non si pone come semplice trascrizione di un'esistenza, ma rende reale e tangibile l'interiorità.

E un gioco di specchi tra autore e attore, dove l'intrinseca consapevolezza di un immaginario regista conduce ad un'urgente ri-concepimento di interrogativi comuni quali l'esistenza umana, i valori, la libertà, gli affetti e la morte. 

Dolor y gloria conduce il cinema almodovariano verso l'eccitazione più pura, travalicando le esagerazioni anticonformiste degli esordi e (in maniera mutevole ma anche coerente) incanalando il pop ed il barocchismo in altre strutture, tramutando quello che era un cinema estremamente analitico collocato all'interno di un contesto rigoroso, in un cinema realistico composto da realtà effettive.

A tal proposito il lavoro sui colori primari (rosso e bianco), sembra voler quasi rievocare, ideologicamente, l'arte contemporanea e moderna, (ne è la dimostrazione lampante uno degli spazi diegetici principali del film, la casa di Salvador/Almodovar, che è si materia, ma anche sostanza, espressione somma del principio modernista che irrora l'opera, autoreferenziale, poliedrica, prismatica, rifratta), e nel contempo convertire il ricercato preziosismo in un ripensamento metanarrativo di tutto il proprio vissuto ed operato. Per tutto l'arco narrativo Dolor y gloria sembra disporsi su un circondario collocato tra astrattezza e tangibilità (fondamentale il lavoro sui raccordi in questo caso) dove il protagonista si districa tra riproduzioni differenti, provando a concretizzare la propria coscienza (riportarsi ad una data materialità tramite la scrittura, simbolizzarsi nel corpo di Alberto Crespo, avviare processi di memoria intima tramite l'assunzione di eroina) e allo stesso tempo mantenere quell'entità onirica necessaria per approcciare il racconto in maniera teorica (addensando e manomettendo costantemente le immagini), cortocircuitando la percezione e rivedendo l'auto-racconto su diversi livelli ontologici. Si tratta di una presa di coscienza di sé, che respira sullo schermo attraverso un dilagare oleografico di essenzialismo, privo di pretese e sussurrato, trascinato da un processo di disgiunzione dell'immagine (spazi rappresentati in blocchi e schematici) che lo consolida all'interno di una funzione espressiva. Dolor y glorya è quindi un melò nel quale la vita fiancheggia costantemente l'inconsistenza, mentre il corpo risulta costantemente decomposto, costretto inesorabilmente e pre-determinatamente all'inezia, laddove la salvezza è da ricercare solo nell'impulso artistico ("senza il cinema non sono niente"), specie a fronte di un'inevitabile rassegnazione vespertina. Il racconto intimista di Almodòvar quindi funziona, è sincero e concreto, sollecita corde profonde e, pur non apportando particolari innovazioni al narrato cinematografico-esistenziale, chiude il cerchio ideologico-stilistico del regista spagnolo, acquisendo una propria identità e guadagnandosi il plauso della critica. Per chi scrive il film è quindi bellissimo. Voto 8/10

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