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Dolor y gloria

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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La recensione su Dolor y gloria

di MarioC
9 stelle

Un film de  Almodóvar. Marchio di fabbrica, patente di riconoscibilità assoluta, garanzia di unicità. Pedrito squaderna topoi, ossessioni, ricordi, speranze, illusioni e disillusioni e apparecchia la consueta pietanza che odora di telenovela sudamericana senza mai sfiorarne la bassa fattura, cucina la meraviglia della vita speziandola col dolor ad essa allegata, recupera la gloria quale tassello finale della affascinante e spaventosa contraddittorietà delle cose.

Dolor y gloria è innanzitutto un film di rara grazia e compattezza, che non si sfilaccia mai, che tiene alto il vessillo della poetica almodovariana, un prodotto che segue la scia dei capolavori passati. Una danza tra memoria e presente, una rapsodia di depressioni reattive e improvvisi clic della volontà, una sonata maestosa per menti arroventate e corpi in non definitiva caduta libera. Almodovar pesca a piene mani nella sua biografia, in cerca di una riconciliazione con se stesso ed il mondo, il suo mondo (gli artisti perennemente in ambasce, a porsi domande e a non trovare risposte, Salvador Mallo quale mirabile proiezione di un disagio interiore che l’intelletto argina ma non comprende, la vita che non va come dovrebbe, l’estasi creativa che si spegne o si arresta interrogativa…), appicca e rinnova il fuoco dei suoi deseos, avvertendone l’unicità e la riconducibilità a quello originario, al primer deseo, chiave di volta e di scoperta della vita, grimaldello di ogni nostalgia e dolore, a volte lasciapassare per la gloria (il regista finalmente conciliato, forse, reinventa e rivive la sua infanzia con quel distacco altrove e in passato negato e impossibile), prende coscienza della caducità del corpo e della inestricabilità della mente e ne fa punto di partenza.

 

Antonio Banderas

Dolor y gloria (2019): Antonio Banderas

 

C’era bisogno di un alter ego, un rappresentante di quella complessità caotica che, con il passare degli anni, in  Almodóvar va facendosi tendenza alla riflessione interiore, pur accompagnata dall’universo dei pensieri colorati, dalla consueta, inestinguibile, bizzarria di mondi non ordinari.

Salvador Mallo: regista in chiara crisi creativa, ostaggio di malanni di mente e corpo (la scena “medico-anatomica” è un piccolo capolavoro, un mirabolante film nel film, come lo era il cortometraggio in bianco e nero di Hable con ella). Un Almodóvar senza sorrisi, la parte oscura di ogni esistenza, il necessario cavallo di Troia attraverso il quale l’autore possa scoprire cosa si nasconde nella tendenza ad una consapevole, anche gioiosa, autodistruzione.

Salvador e l’infanzia, Salvador e l’omosessualità, Salvador che piange e fa piangere (le lacrime in Pedrito sono la riscossa ai luoghi comuni dell’essere maschio per nascita, la sottile linea rossa che unisce le sensibilità in un unico luogo incontaminato dalle facili e banali identità di genere), Salvador che si droga in funzione lenitiva, Salvador e il suo vecchio film e la nuova opera teatrale, Salvador e gli antichi amori che non andranno mai via (amare è sempre impegnare qualcosa di sé e quel qualcosa non può essere rinnegato né riscattato come in un qualsiasi Banco dei Pegni), Salvador e la madre (il dolore della perdita, la consapevolezza della vita che va), Salvador e i ricordi che sbucano dal nulla (l’acquerello, in funzione di madeleine ma anche di necessario propulsore), Salvador e la malattia, che forse malattia non è se non dell’anima, ennesimo ostacolo sulla strada ma gli uomini sono nati per competere (il vero problema, e Almodóvar lo sa, è quando iniziano a competere con se stessi, fatalmente attratti da una sicura debacle).

Nell’attribuire a Mallo segmenti della sua poetica, della sua visione delle cose che trasmigra lentamente verso la riflessione ma non rinuncia alla vitalità debordante, al soffio di follia che solo può riappiccare il fuoco, tutti i fuochi, Almodóvar realizza un’operazione importante: fa un bilancio ma non gli attribuisce il crisma della definitività, guarda indietro per vedere avanti, si tuffa nel mare magnum della bellezza e del dolore, nuota spesso controcorrente o tra onde altissime, ma si dice pronto a virare ancora lungo la boa della gloria. Dolor y gloria, servito da un Banderas in stato di grazia (le microespressioni del viso che lasciano intravedere profonde rughe dell’animo, gli occhi che chiedono aiuto ma non conoscono il modo migliore per farlo, la camminata lenta e sofferente, il sostare troppo a lungo alla ricerca di un se stesso che pare fuggevole),  è un  cahier de doléance consapevole e fittissimo, una pagina dolceamara di vita, un inno e un peana alla resilienza, un saggio sulla capacità di adattamento che passa attraverso il tormento. Ed è, per tutto questo, un film bellissimo.

 

Antonio Banderas

Dolor y gloria (2019): Antonio Banderas

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