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M.A.S.H.

Regia di Robert Altman vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su M.A.S.H.

di cheftony
8 stelle

Donna, noi siamo dei chirurghi e siamo qui per operare! Aspettiamo solo il momento di cominciare.”
[…]
...e vogliamo aprire il torace di questo ragazzo ed essere sul campo da golf prima che faccia buio! Quindi tu vai a cercare l'anestesista e fa' preparare questo paziente e poi portami le ultime radiografie! Quelle che ho visto ormai devono essere vecchie di 48 ore. Poi avverti in cucina di farci qualcosa da mangiare. Eeeh, uova e prosciutto, se proprio non c'è una bistecca. E poi voglio almeno un'infermiera che sappia lavorare nel campo senza intralciarmi con le poppe!”
 
Guerra di Corea. Siamo nel 4077° M.A.S.H. (Mobile Army Surgical Hospital), ovvero in uno degli ospedali militari chirurgici allestiti negli accampamenti dalle truppe americane per le operazioni di urgenza sui feriti gravi.
Giungono freschi freschi al fronte due chirurghi, ovvero lo spilungone 'Hawkeye' Pierce (Donald Sutherland) e l'amico 'Duke' Forrest (Tom Skerritt), tanto bravi professionalmente quanto spregiudicati e goliardici. All'arrivo del richiesto chirurgo toracico John 'Trapper John' McIntyre (Elliott Gould), i tre cominciano a combinarne una dietro l'altra, fra scherzi atroci e stratagemmi per evitare la Corte Marziale. Le loro prime nonché preferite vittime sono il bigotto Maggiore Burns (Robert Duvall) e la ligia Maggiore Margaret 'Hot Lips' Houlihan (Sally Kellerman), sorpresi ad amoreggiare in una tenda con annessa trasmissione delle loro effusioni via altoparlanti in tutto il campo.
Non passa indenne nemmeno il dentista Walt Waldowski (John Schuck), confessatosi con Padre 'Dago Red' Mulcahy (René Auberjonois) perché convintosi di essere omosessuale; quando confida ai commilitoni di volersi suicidare per il suddetto motivo, questi inscenano per lui una blasfemamente parodica Ultima Cena prima di dargli l'ambita pillola mortale (in realtà un sonnifero) per poi fargli trovare in tenda un'infermiera pronta a farlo ricredere al risveglio. Ma non mancano neppure partite di golf e football americano e trasferte in Giappone, in minchioneggiante attesa del congedo...
 
Robert Altman nel 1970 era un 45enne regista ancora semi-sconosciuto, con pochi film all'attivo e molto lavoro in campo televisivo, ma evidentemente pronto a fare il botto con “M.A.S.H.”, che incassò qualcosa come quasi trenta volte il proprio budget e riscosse premi e nomination vari al Festival di Cannes e alla cerimonia degli Oscar. Eppure la gestazione non fu delle più facili: il modo di lavorare e lo stile di Altman, fra sceneggiatura e dialoghi modificati di sana pianta e scarsa attenzione agli attori per privilegiare l'atmosfera, gli valsero le vibranti proteste di Sutherland e Gould che fecero di tutto per farlo licenziare, così come lo sceneggiatore Ring Lardner Jr., pur premiato con l'Oscar, disconobbe l'operato di Altman.
Ambientato in Corea per celare, su richiesta della produzione, i riferimenti all'allora contemporaneo ma intoccabile conflitto in Vietnam, “M.A.S.H.” è una coraggiosa satira che pungola un mondo militare da smitizzare, dove della guerra che è appena lì fuori non arriva nulla, se non una serie continua di corpi mutilati da tagliare, operare e ricucire freddamente mentre si scherniscono infermiere e maggiori per trascorrere meglio il tempo.
A “M.A.S.H.” e al suo “creatore” Altman va senz'altro riconosciuta una bella dose di originalità e audacia, sia sul piano tecnico che tematico, pur essendo lontano dalla finezza e dalla compiutezza di un capolavoro di satira antimilitarista come il kubrickiano “Dr. Strangelove”: Altman cerca di tenere in piedi una trama praticamente episodica e antipatriottica in cui Sutherland e Gould la fanno da padroni con i loro personaggi cinici ed irriverenti, mentre il regista si concede scelte ambiziose per la fotografia fosca e “nebbiosa”, per il sonoro in continuo overlapping e, perché no?, per i titoli di coda quantomeno originali, con i credits citati a raffica in chiave antiepica dall'altoparlante del 4077° M.A.S.H.
Oggi ricordato come uno dei migliori Altman, “M.A.S.H.” arriva tuttavia un po' stanco alla prova dei quaranta (e passa) anni e svela qualche debolezza: alcune gag possono al massimo far sorridere, come l'annacquatissima partita di football finale, e la sua frammentarietà non sembra portare a nessun crescendo, ma alla fine non c'è molto altro da contestare. Dissacrante, sf(il)acciato, accompagnato dalla canzone portante e appositamente scritta“Suicide is painless” e da un ironico utilizzo della “Washington Post March”, satirico, militante, gradevole: questo è “M.A.S.H.”.

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