Regia di Robert Altman vedi scheda film
Lo spirito è quello altmaniano degli anni ’70, gioiosamente anarchico e sovvertitore delle regole (non solo cinematografiche). A differenza di altre commedie belliche, anche pregevoli (per es. Soldato sotto la pioggia di Ralph Nelson), non c’è nessuna strizzata d’occhio alle ragioni dell’esercito, dipinto come un’accozzaglia di buffoni, fanatici e parassiti; l’antimilitarismo è netto, pur se espresso in toni leggeri, e parla di argomenti attuali: l’ambientazione in Corea è un chiaro paravento per l’(allora) impronunciabile Vietnam. Però la coralità dell’insieme, che altrove risulta meglio fusa, qui si sfrangia in una serie di episodi (è la matrice perfetta per un telefilm, si può dire col senno di poi); la comicità è sì eversiva, ma superficiale. Ciò che manca, e che invece si trova in Il lungo addio, Gang, California poker e Nashville, è l’implacabile crescendo verso un finale: mentre i quattro titoli citati scavano a fondo per riportare alla luce le inquietudini nascoste sotto il sogno americano (ed è ciò che ci fa apprezzare la loro modernità anche a distanza di tempo), qui si resta su un piano orizzontale, senza sviluppi. Simpatica la trovata della voce all’altoparlante che fa da continuo sottofondo con i suoi avvisi e che recita i titoli di coda (un’invenzione analoga a quella di Anche gli uccelli uccidono, dello stesso anno).
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