Regia di Igort vedi scheda film
"2 gambe, 2 braccia e 1 testa: questa è la mia casa. 5 è il numero perfetto."
Anni '70, Napoli, Peppino Lo Cicero (Toni Servillo) è un sicario della camorra "in pensione", il suo posto nella famiglia malavitosa Guarino lo occupa il figlio Nino (proprio come accadeva in quegli anni nelle grandi fabbriche). Dopo la morte dell'adorata moglie, per Peppino, l'unico senso della vita è il figlio, per il quale ha una vera adorazione. Per il compleanno di Nino (Lorenzo Lancellotti), Peppino attraversa una Napoli piovosa e ormai sconosciuta,(per lui che è della vecchia guardia) per comprare una pistola e dargliela in regalo anticipatamente prima che esca per un nuovo incarico omicida. La pausa di un caffè, 2 chiacchiere e qualche ricordo, prima che Nino si avventuri verso la sua morte. L'uomo (che poi si rivelerà poco più che un ragazzo) che Nino deve uccidere, lo ucciderà. Peppino decide così di ritornare a combattere per ottenere vendetta e scoprire chi è stato a comandare l'imboscata. Affiancato dell'antico compagno di guapperia Totò 'o macellaio (Carlo Buccirosso) e da una vecchia fiamma di gioventù - "la maestrina"-(Valeria Golino), riprenderà le armi in pugno e inizierà una dura guerra mettendo contro le 2 famiglie camorriste del momento.
Tratto dall'omonima novel graphic più famosa di Igort, la storia si divide in 5 capitoli: "Lacrime napulitane", "Settimana enigmatica", "'a guapperia", "il sorriso della morte" e "5 è il numero perfetto". Ogni capitolo è una scelta che Peppino compie in base alla terribile sciagura che subisce con la morte del figlio. Vi è quella immediata dettata dalla sete della vendetta, quella di organizzarsi con i vecchi compagni di ventura, il momento dei ricordi e delle spiegazioni, la guerra e infine la soluzione finale. Lo stile fumettistico rimane intatto nella narrazione cinematografica, ogni episodio ha una sorta di copertina che si guarda sullo schermo invece che sfogliarla. Peppino e Totò subiscono sotto gli occhi dello spettatore una mutazione straordinaria: da anziani guappi a moderni samurai che intrecciano le loro mosse in perfetta sintonia, utilizzando i loro vecchi "ferri" come scimitarre. Igort sceglie ambientazioni napoletane ben precise , girando gli esterni nei bui vicoli che appaiono come delle vene pulsanti di un sangue malato da anni, dove la luce arriva solo dai poster pubblicitari dell'epoca o dai lampioni che illuminano lo stretto indispensabile, con la precisione del tratto di una matita colorata. Eppure la scena più delicata del duello risolutivo avviene alla piena luce del giorno, come nei più celebri scontri western. Il finale è di quelli amari, dimentichi che il protagonista è un portatore di morte, lo desideriamo in pace a poter metabolizzare il suo lutto. La coscienza sporca rende Peppino infelice, sarà ben contento perciò di pagare a caro prezzo la serenità per gli anni che gli rimangono da vivere. La filosofia del 5 come numero perfetto, indicando sé stessi come unico modo per avere l'indipendenza e non dover dar conto a nessuno non paga Peppino, non lo conserva dal dolore per la perdita del figlio, le sue membra non erano in quel caso le gambe e le braccia, ma la moglie e il figlio. Peppino troverà sé stesso solamente quando avrà pareggiato con i conti di una vita, che solo alla fine, si renderà conto essere stata basata su codici d'onore fasulli ed inutili.
Prima prova da regista cinematografico per Igort, eclettico artista, che in realtà avrebbe voluto solamente sceneggiare il suo lavoro, solo la tenacia e il coinvolgimento da parte di Toni Servillo lo convincerà a mettere la firma anche per la regia e presentarlo alla 76° edizione della Mostra cinematografica di Venezia nella sezione "Giornate degli autori".
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