Regia di Benjamín Naishtat vedi scheda film
Provincia argentina, 1975. Mentre sta aspettando la moglie in un ristorante, un avvocato di successo (Grandinetti) viene aggredito verbalmente da un avventore (Cremonesi) che ne pretende il posto a tavola. La faccenda sembra finita lì, ma al termine della cena l'uomo si presenta dalla coppia, la minaccia e si tira un colpo di pistola alla tempia, senza morire. L'avvocato decide di abbandonarlo nel deserto. Tre mesi più tardi un ex ispettore di polizia (Castro) dal fiuto molto pronunciato indaga sul caso di sparizione dell'uomo.
Il primo film di Benjamín Naishtat che arriva in Italia (con tre anni di ritardo e solo sulle piattaforme streaming) è un'opera tanto stramba quanto coraggiosa. Nel voler raccontare la violenza (spesso gratuita, come rivela la sottotrama riferita a una coppia di adolescenti) esplosa a metà degli anni Settanta nel Paese sudamericano, il regista procede per scarti ed ellissi, con trovate narrative spiazzanti. Nel mettere in scena l'epoca alla vigilia dell'ennesima dittatura argentina (quella di Videla), Naishtat punta sul contrasto tra l'omertà, la disinvoltura nell'aggirare le regole e l'ipocrisia di una società corrotta, a cui la figura di Alfredo Castro (che si mangia gli ultimi 40 minuti di film) fa da simbolico contraltare di coscienza.
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