Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Ottimo film di Virzì,attraverso una storia personale, racconta un contesto storico e una generazione
Siamo a Livorno, nel quartiere soprannominato "Ovosodo", qui nasce e cresce Piero Mansani, a cavallo degli anni '80 e '90. La sua voce fuori campo ci racconta la sua storia. Dopo la prematura morte della madre, il padre è un buono a nulla, che entra ed esce da galera, mentre lui resta in compagnia del fratello handicappato, ma sensibilissimo e la "nuova," nevrotica compagna del genitore. Trascorso un periodo di depressione e timidezza, tipico della pubertà, Piero va incontro alla vita, con tutte le esperienze connesse, in primis la scuola. Intrigante e caustica la messa in scena del conflitto tra le classi, già chiara nell’ambiente didattico, dove avviene subito la prima cernita, a tal proposito la presentazione degli alunni al 1° giorno di scuola delle medie, è un capolavoro di feroce satira, a ogni studente è chiesto il “pedigree” con tanto compiacimento e perfino i saluti dell’insegnante, da destinare ai genitori blasonati, poi arriva il liceo, il militare , la vita entra nel vivo, senza alcun appoggio dalla squinternata famiglia. Piero frequenta i coetanei, fa amicizia con il “ribelle” Tommaso, s’innamora. Narrando la normale e ordinaria esistenza del suo protagonista, il regista parla sia degli ultimi, i proletari, che dei rampolli dell’alta borghesia industriale, saltando a piè pari la middle-class. Piero viene dalla classe operaia, il suo migliore amico, Tommaso, dalla classe imprenditoriale. Il nostro ha delle aspirazioni letterarie che nessuno, tranne la sua sponsor, un'illuminata professoressa di liceo, Giovanna, che finisce prima in manicomio e poi suicida, sembra comprendere. L'incontro con l’anticonformista “in teoria” Tommaso gli da l’occasione di vivere le prime esperienze importanti dell'adolescenza, come il movimento delle pantere, la scoperta dell’altro sesso, prima con Lisa, la bella cugina di Tommaso, una ragazza snob e capricciosa, che lui prova inutilmente a conquistare, e poi la dolce vicina Susy, con la quale finalmente ha successo. Piero e Tommaso, frequentano la stessa classe, sembrerebbero avere analoghe vedute culturali e politiche, ma passano gli anni e i sogni della gioventù lasciano il posto alla realtà, lo squattrinato Piero, dopo la bocciatura alla maturità, mette da parte gli studi e le sue velleità letterarie e con i piedi ben piantati a terra va in cerca di un posto fisso, mentre l’amico Tommaso, figlio di un imprenditore ricco e famoso, è libero invece di cazzeggiare e filosofeggiare a piacimento. Racconto di formazione in una dimensione popolare, guardando la società dal basso e tifando per i “peones”.Ceto alto e basso, possono anche saltuariamente incrociarsi, ma mai fondersi davvero, i due sono amici, ma solo fino a quando non si affacciano sul serio al mondo, a quel punto, ognuno torna al suo posto, Piero si accontenta di lavorare nella pestilenziale fabbrica del padre di Tommaso, che continua a vivacchiare prima alla Normale a Pisa e poi in America, proiettato verso una laurea prestigiosa in business administration, per diventare manager dell’azienda di famiglia, ognuno insomma prende la sua strada, già segnata. Alla festa dei proprietari della fabbrica, al povero Piero, gli preparano con condiscendente paternalismo, il pacco da portare a casa, lasciandolo tristemente mortificato, ma l’amarezza nonostante tutto, è lieve ed è nella sensazione che ben descrive il protagonista, il giovane Mansani, paragonando quel nodo alla gola che lo prende tra la gola e lo stomaco, proprio ad un uovo sodo, mangiato intero con il guscio, che non va né su né giù. Una sgradevole sensazione che avverte tutti i giorni, ma che ormai gli è diventata familiare come un vecchio amico. L’utopia coltivata dalla sua generazione, di riuscire a sovvertire l’ordine delle cose, resta tale, e ci si ritrova poi a leccarsi le ferite e come i genitori a lavorare in fabbrica, bisogna pur mangiare. Livorno, è stata spesso utilizzata efficacemente come location, città portuale e proletaria, in cui il conflitto di classe è evidente, si adatta alla perfezione alla commedia all’italiana. Paolo Virzì vi è ivi, nato e cresciuto ed è uno dei pochi eredi davvero compiuti della commedia all’italiana. Nel cinema contemporaneo che di fatto, ha trascurato il proletariato, Virzì ha continuato a interessarsi a quel sottobosco dimenticato, fatto di operai, disoccupati, precari, perdenti col destino segnato. Il regista compone una narrazione, che procede a scatti, ritmata in fase di montaggio, full-immersion nell’humus di una città viva, inferno e paradiso al contempo, Virzì la mette in scena con passione e tenerezza. Il film incrocia piacevolmente commedia e dramma. Rivedere Ovosodo è anche l’occasione per comprendere i presupposti, che hanno prodotto l’odierna situazione sociale ed economica, le dinamiche del potere, per ricordare con nostalgia, una generazione perduta “Un gran casino di pasti saltati, Tienanmen, il comandante Marcos, Malcom X, Mandela e il movimento della Pantera, Zhang Yimou, Peter Jackson, Tondelli e Thomas Bernhard, sbronze, Kurt Cobain, baci dati e ricevuti, nuove posse, puzzo di piedi e rientri a casa all’alba con la testa rintronata”. Bello spaccato di un periodo storico
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