Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Il più grande critico di Youtube Italia, Federico Frusciante, definisce Paolo Virzì “un mediocre, che in un'epoca di nulla, sembra uno buono"; mentre un mio conoscente militante nel PD lo elogia come uno dei più grandi registi Italiani degli ultimi 50-40 anni; con un'ulteriore ricerca si scopre che ha vinto il Premio della giuria a Venezia e che Mereghetti nel suo dizionario gli conferisce l'onore delle 4 stelle inserendolo nella stretta cerchia dei capolavori, anche se non posso attualmente saperne le motivazioni poiché non ho il volume a portata di mano ora. Innanzi a giudizi così lapidari e netti, come sempre bisogna fare affidamento solo su sé stessi ed il proprio giudizio. Ovosodo (1997), risulta essere una storia di formazione (una sorta di comic of age di concezione americana), unita però al linguaggio della commedia all'italiana nostrana che stempera ogni nota troppo acida portando il tutto su un binario più leggero ed umoristico (grazie anche alla voce fuori campo onnipresente del protagonista). Questa carta che potrebbe risultare vincente, non risulta gestita e sfruttata nel pieno delle sue possibilità, poiché la pellicola come il PD (di cui Virzì è militante), risulta essere cerchiobottista; un racconto di formazione avente come protagonista Piero, un ragazzo della borgata Livornese (Ovosodo è un quartiere della città), con una spruzzata di impegno politico tanto per fare film elevato e ottenere consenso da parte della critica di sinistra (nettamente maggioritaria nel nostro paese), senza mai arrivare ad una presa di posizione netta.
Ovosodo si potrebbe definire una sorta di Amarcord in salsa Livornese, e dire che la primissima parte del film, non era neanche tanto male (la scoperta della vagina da parte di Piero è un'aggiornamento agli anni 90’ dell’ oniricita' Felliniana, così come l'evidente omaggio della tabaccaia). Il problema della pellicola è l'inserire tanti argomenti (molti dei quali anche interessanti), facendo si che restino però solo allo stato di soggetto base, senza mai svilupparli adeguatamente. Non conosco il cinema di Virzì, ma l'equilibrio di Ovosodo risulta riassunto nell'emblematica frase che Mirko; compagno di Piero, pronuncia nel mucchio di scemenze senza senso durante il viaggio a Roma, cioè “I am communist però democratic". In questa espressione c'è tutto il fallimento concettuale del film, che seppur ha tanti spunti interessanti (amicizia di Piero con l'insegnante Giovanna, Piero che frequenta il liceo classico della Livorno per bene, fabbrica inquinante, la figura dell’alto borghese Lisa etc…); deve essere cerchiobottista senza mai in effetti prendere una propria posizione chiara sull'argomento e né scavare in profondità nelle situazioni più spinose, preferendo il fuori campo, una comoda ellissi o transizione di montaggio per trovare sempre una scorciatoia (perché saltare tutti gli anni del liceo in un attimo? Si poteva effettivamente affrontare il conflitto di classe che in molti qua elogiano, ma non è che si percepisca più di tanto).
Alla fine Piero è un mediocre che è tale anche per causa sua, però alla fine in quanto tale verrà premiato con uno di quel milione di posti di lavoro che il Berlusca aveva promesso nella campagna elettorale del 1994 (da notare che neanche si pronuncia il nome del politico). Il messaggio è accontentarsi poiché prima o poi la vita ti sorridera’, e quindi, il linguaggio della commedia serve per far passare che tutto ciò alla fine è positivo o comunque non tanto male. Potrei anche essere d'accordo che una società competitiva come la nostra, uno ad un certo punto uno deve anche badare al concreto per campare, solo che nel film tale messaggio viene fatto passare in modo positivo, tanto alla fine Piero diventa sempre “più bello". Chi è nato proletario resta proletario e muore ideologicamente borghese. La pellicola in effetti non ha una chiara forza ideologica; vuole essere di sinistra (amici politicamente impegnati), ma non troppo (Piero si dimostra abbastanza scocciato degli sproloqui politici di Mirko), perché altrimenti Virzì perderebbe la gran parte del pubblico italiano che in maggioranza è conservatore. Io rimprovero a Virzì di essere un regista furbo ed accomodante in sostanza; se ti stanno bene i valori di destra non ci sarebbe nulla di male, solo a questo punto devi essere onesto con te stesso (Eastwood, Milius e Kitano, se ne sono sempre fregati dell'etichetta di "fascisti" e sono andati avanti con il loro pensiero), oppure se ritieni che in fondo negli anni 90’ con la sparizione della DC e la trasformazione del PCI, le ideologie siano morte e bisogna coltivare sé stessi ed proprio avvenire, tale presa di posizione avrebbe dovuto richiedere più cattiveria nel tono della narrazione o comunque più amarezza generale.
Non vorrei far passare comunque il messaggio che Ovosodo sia in toto un pessimo film; anzi, ha delle parti da commedia che funzionano alla grande, dei potenziali ritratti interessanti (che finiscono in stereotipo però, come la figura di Tommaso ed i suoi amici tutti politicamente impegnati, ma alla fine tutti facenti parte dell'alta borghesia) e una sincera umanità di certe figure come quella di Giovanna (Nicoletta Braschi, la migliore del cast), che risulta il personaggio più riuscito dell'intero film. Molti attori sono alla prima prova recitativa (e si vede), ed il protagonista in certi dialoghi non è per niente diretto bene (pessimo nei momenti intimi con Lisa), ma comunque ha un viso azzeccato e probabilmente alla fine i pregi sorpassano i difetti alla fine. I momenti più sentiti e sinceri di Virzì finiscono con l'essere quelli più disimpegnati e leggeri; come i dolci ricordi di Piero bambino a 9 anni e dei filmini video in super 8 che rievocano situazioni e ricordi felici. In sostanza le 4 stelle del Mereghetti sono totalmente esagerate (e dire che coming of age come L'Ultimo Spettacolo di Bogdanovich, American Graffiti di Lucas e Un Mercoledì da Leoni di Milius, hanno valutazioni inferiori ad esso) così come il premio a Venezia, ma alla fine non è neanche questo schifo che il Frusciante afferma. Ovosodo come il suo sostrato ideologico, risulta una pellicola sospesa nella valutazione tra la mediocrità della parte politica e la buona riuscita dei momenti in cui essendo disimpegnato, risulta sincero ed onesto con la sua vera natura.
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Mi sembra calzantissima la definizione del film del Morandini che va nella tua stessa direzione di pensiero: "Emblematico esempio di cinema medio italiano degli anni '90, capace di conciliare consensi di critica e successo di pubblico, costruito come un classico romanzo di formazione, in oscillazione tra nostalgia e rassegnazione senza nome, tenero più che lucido, all'insegna ideologica di una socialdemocrazia rassicurante e ulivista" e ci ricorda anche ciò che sullo stesso fil scrisse Pitassio: "Rimane lì, come un uovo sodo, non va nè su, nè giù".
Bravo Spopola per aver riportato il pensiero del Morandini che è molto affine al mio. Il periodo ulivista l'ho vissuto, ma ero troppo piccolo per ricordarmene (con la Caduta del governo Prodi nel tardo 2007 avevo sui 14 anni... ho cominciato ad interessarmi alla politica solo con l'arrivo del governo Monti e a studiarla in modo più approfondito dalle europee del 2014 e l'attività prosegue).
Il film è come affermi di ideologia socialdemocratica, una sinistra che abbraccia il capitalismo senza più la voglia se non di combatterlo, almeno di correggerne le storture, andando su battaglie di diritti civili senza capire che senza una perequazione economica i diritti restano lettera morta.
È un film Ulivista in effetti (esce nel 1997 d'altronde), di sinistra ma non troppo, in sostanza non è cinema poiché questa indecisione si riflette nel film. Una sorta di elogio alla mediocrità dell'accontentarsi in chiave totalmente positiva, perché alla fine siamo communist però democratic... né carne, né pesce quindi.
Esattamente... e non c'è certo da rallegrarsi.
Se posso, cercando di non polemizzare, le caratteristiche 'ideologiche' dell'Ovosodo di Virzì è roba che difficilmente può uscire dalle secche della sinistra. Al massimo può attrarre qualche residuato parafascista, che peraltro converrebbe su più di un punto - ad esempio il troppo scarso 'anticapitalismo'. Un liberale ad esempio se ne sbatterebbe altamente nella sostanza. Certo se buona parte del 'liberalismo' italiano non fosse caduto nel peccato mortale - da una prospettiva liberale classica - crociano di distinguere tra liberalismo e liberismo (termine quest'ultimo che all'estero non esiste. Lo ha usato qualche volta in inglese solo il fu Giovanni Sartori). Distinzione peraltro che andò bene ad inserirsi in un certo contesto internazionale, da John Stuart Mill prima (che separò produzione e distribuzione di ricchezza) al New Liberalism e al keynesismo dopo, che dirottarono il liberalismo su tutt'altra strada, tanto che oggi liberal in USA è il partito democratico e, nell'opinione diffusa italiana, poco cambia: liberale è solo quel che a sinistra, orfana - ma non totalmente, resta uno zoccolo duro - dei marxismi, si indica come tale. Il resto è 'neo-liberismo': altro termine inesistente all'estero che semmai parla, in termini peraltro a mio avviso ugualmente semplicistici e spregiativi, di 'neo-liberalism' (da Hayek a Friedman, da Thatcher a Reagan).
Dico ciò perché 'Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, che non sogni la tua filosofia', nel caso di specie 'di sinistra'. Da un lato, dall'altro perché la storica mancanza di un background seriamente e classicamente liberale in Italia (basti pensare alle destre anche solo dal 1994 in poi, che una volta al governo non hanno promosso nella sostanza né politiche liberali né 'liberiste': il peso dello Stato è aumentato, il debito a fronte delle spese di Welfare idem, insieme all'inefficienza dello stesso. A proposito di filosofie, ideologie e visioni unilaterali, strano come venga dato per scontato, comunemente, che i supposti aumenti di povertà siano da attribuire al 'neo-liberismo' e non all'inefficienza e inefficacia attuali di un Welfare che non è mai costato così tanto rendendo, evidentemente se - ed è comunque un se, in sede di ricerca socio-economica - la povertà aumenta, così poco) sono portato a pensare che abbia contribuito ad arrecare non pochi danni al paese, primo fra tutti l'aver permesso una distinzione ad alto tasso ideologico-utopistico e ad alta divisività tra una 'cultura' clerico-fascista da una parte e catto-comunista dall'altra. Divise ma unite dalla stessa cultura dirigista e 'costruttivista' direbbe Hayek.
Segno ne è la discussione infinita sul 'troppo poco di sinistra', intendendo per 'sinistra' solo e unicamente la propria personalissima idea di sinistra o quella del proprio gruppuscolo e/o partitino. Da osservatore faccio sommessamente notare che la socialdemocrazia nasce su una, realistica potremmo dire (le condizioni dei lavoratori miglioravano e non peggioravano come da marxiana previsione), revisione del pensiero marxiano (ma revisione sempre meno radicale ed elitista di quella che fece Lenin), che prima postula l'approdo al socialismo - e quindi l'uscita dal capitalismo, come non si sa - per via democratica - e quindi non rivoluzionaria - poi, via via ridimensiona la meta finale grazie alle conquiste del Welfare, decide di abbracciare compiutamente la liberaldemocrazia - che peraltro per un liberale classico è inscindibile dalla libertà economica e dal libero mercato - e, appunto, di 'limitarsi' a 'correggere le storture' del capitalismo - principio peraltro che non trova contrari nemmeno molti liberali classici, per quanto cambi di certo l'equilibrio tra Stato e mercato e difficilmente un liberale classico riuscirebbe ad andare al di là dell'economia sociale di mercato e dell'impostazione cosiddetta 'ordoliberale'.
Un liberale non all'italiana e quindi non 'di sinistra' o non liberal all'americana, sarebbe d'accordo però sull'eccessiva concentrazione sulla questione dei diritti. Non perché insufficienti senza 'eguaglianza socio-economica' o 'giustizia sociale' - questi sono concetti che egli ritiene fumosi e gli fan venire l'orticaria, per quanto un confronto con John Rawls e compagnia sia sempre doveroso - ma perché concepisce il diritto prevalentemente come individuale - e prevalentemente 'negativo' - e quindi i diritti delle minoranze e cosiddette minoranze le considera un nonsense e, insieme ad altri diritti o supposti tali, più una risposta ad edonistici desideri personali che non una questione, appunto, di 'diritto'.
Tutta questa pappardella per un semplice motivo, o forse due (anzi tre: uno è che da un 'nulla', come potrebbe essere Ovosodo, ognuno può tirarci fuori qualsiasi cosa e navigare col pensiero e le riflessioni per giungere a chissà quali approdi), che mi sovvengono dopo la lettura della recensione, delle risposte sopra, e pure dopo aver rivisto il film (il finto alternativo 'borghese' per me è emblematico dell'altra piaga italiana in primis ma invero occidentale: il radical chic, il rivoluzionario da salotto, quello che sale sulle barricate solo idealmente e a spese degli altri, nella fattispecie proprio a spese di quei deboli che - alla Lenin, un elitista come pochi - si sente in diritto di rappresentare e in dovere di difendere, nonché di illuminarli come il re-filosofo, dall'alto della sua 'scienza', sui loro interessi e su cosa sia meglio o peggio, bene o male per essi).
Il primo è che questo genere di dibattiti che tanto appassionano il grosso della cultura italiana (ma a dire il vero, almeno in parte anche la cultura di sinistra e liberal al di fuori dell'Italia, così come la parte più 'triviale' e 'reazionaria' della destra), visti da un'altra prospettiva e dal di fuori paiono assurdi e contribuiscono a provincializzarci. Il secondo è che se rimaniamo impantanati nella distinzione partigiana (vedi in proposito Luca Ricolfi, Sinistra e popolo, 2017. Non a caso sociologo inviso al grosso della sinistra italiana, accademica e intellettuale in primis) tra destra e sinistra tanto cara a Bobbio (a sinistra c'è uguaglianza e libertà, a destra il nulla, nel migliore dei casi un po' di egoismo e il rispetto della procedura democratica, nel peggiore il fascismo eterno - da ultima vedi Michela Murgia, che fa un uso metastorico del fascismo dannosissimo e storiograficamente scorretto, ma prima di lei ci son cascati Umberto Eco, Eugenio Scalfari e pure storici di professione), delegittimante alle radici - in questo Silvio B aveva non poche ragioni, peccato che abbia deciso di rispondere con altrettanta delegittimazione, continuando ad alimentare divisività ed eccessi ideologici di cui sopra -, continueremo ad allontanarci, in quanto italiani e in quanto paese, dalla realtà sempre di più e a provinciallizzarci. Con la conseguente e non a caso continua fuoriuscita, esportazione di una bella fetta di italiani di un certo tipo - alta formazione, alta specializzazione, alta intraprendenza, alta produttività ma impossibilità ad aumentarla, ad espandersi e a reggere la competizione sul mercato globale, ecc. - e importazione di nulla - scarsa o assente formazione e specializzazione, scarsi capitali.
Dopodiché, si può non essere d'accordo con tutto ciò e pure ambire ad una fuoriuscita tanto dal capitalismo quanto dai meccanismi della democrazia liberale (io ad esempio sono provocatoriamente, quindi tra il serio e il faceto, favorevole al ritorno ad un suffragio limitato, ad esempio universale sì ma previo esame o licenza, stile epistocrazia - di epistocrazia ha parlato recentemente un non esattamente classico libertarian americano, Jason Brennan, in Contro la democrazia, 2018). Tuttavia si deve essere coscienti del fatto che non solo la cosa andrebbe argomentata, come sempre, ma si dovrebbe anche spiegare come, senza limitarsi alla petizione moralistica di principio o al piagnisteo, ed anche perché dovrebbe essere auspicabile. In altre parole ci si dovrebbe sobbarcare l'onere di 'dimostrare' (virgoletto perché Popper ci ricorderebbe che la dimostrazione in ultima istanza è impossibile potendo limitarci solo alla falsificazione) la bontà dell'alternativa, almeno sul piano teorico, rispetto al sistema attuale; le possibili e realistiche strade per arrivarci, se non ci si vuol fermare all'utopia pura; e mostrare e 'dimostrare' (teniamo conto che nell'ambito delle scienze economiche e sociali non c'è nemmeno accordo su aumento delle diseguaglianze - e comunque andrebbe 'dimostrato' che equivalgono ad 'ingiustizie' e che sono deleterie - e della povertà, e relativi parametri di misurazione per non dire delle possibili letture ed interpretazioni) quali e quanti siano i difetti incorreggibili imputabili a questo sistema o gli orrori da esso causati, e che questi siano frutto del 'sistema', che il 'sistema' sia un concetto 'collettivo' reificabile al quale attribuirli e che non siano invece attribuibili agli individui che li compiono.
Ecco, un liberale classico, quindi di destra nella terminologia corrente, o comunque non di sinistra (ma vi sono nel PD e nei tronconi, tronchetti, dell'ex PSI taluni che sostengono posizioni non troppo diverse, per quanto qualcuno abbia abbracciato la retorica dell'anti 'neo-liberismo' - retorica non perché non vi possano essere critiche legittime o condivisibili ma perché se abbraccio una grande narrazione solo ad uso squalificante, con l'intento di incasellare tutto quanto non mi piace all'interno dell'etichetta 'neo-liberismo', senza ulteriormente specificare, distinguere, argomentare, uso un artificio puramente retorico e tautologico: 'neo-liberismo' è quel che tutti sanno cosa sia, il male, ed è il male perché è 'neo-liberismo'), argomenterebbe grosso modo così. Si può dissentire e non esser d'accordo, si può argomentare diversamente, ma cosa vi sia di 'fascista' in tutto ciò lo ignoro, cosa di becero anche, cosa di criminale pure, cosa lo renda da delegittimare a priori idem.
Ora potrei fare il controcanto e imbastire una risposta 'tipica' di un liberal 'tipico', o di un socialdemocratico, o di un socialista, di un comunista, di un marxista, di un rosso-bruno, di un neo-fascista o parafascista antiglobalista, ecc., ma non ne ho alcuna intenzione perché mi sono dilungato oltremodo. E' che mi piace sempre cercare di offrire un punto di vista differente, anche a costo di fare l'avvocato del diavolo. Motivo? L'Italia (ma a mio avviso, seppur in misura inferiore, l'Europa intera e tutto il sistema occidentale Giappone compreso) si trova di fronte a problemi strutturali che fino a 40 anni fa, complice una congiuntura economica mondiale diversa che permetteva una parallela crescita - giusta o sbagliata, auspicabile o meno, dannosa sul lungo periodo oppure no è un altro discorso - del Welfare, poteva ancora permettersi di non affrontare nascondendoli sotto il tappeto. Da 40 anni a questa parte e negli ultimi 15-20 soprattutto, a me - ma posso sbagliare - pare evidente che non sia più così e che i nodi vengano progressivamente e sempre più al pettine. Le risposte a questi problemi tuttavia mi paiono nella sostanza sempre gli stessi. E questo anche perché le domande e l'atteggiamento degli italiani non sono tutto sommato ancora cambiate, nella sostanza - chi ha cambiato tende ad abbandonare il paese. Resta, a me pare sempre, il forte tasso ideologico che si riflette nel campanilismo, delegittimazione e tifo politico da stadio da un lato (a proposito dell'elettorato USA lo rileva anche il suddetto Brennan), e dall'altro un enorme scollamento e dissociazione dalla realtà (siamo all'ultimo posto, in pratica, in Europa, per conoscenze base economico-finanziarie, avversione al rischio, investimenti e utilizzo degli strumenti finanziari, e si vede anche qui uno scollamento: prima dei test/sondaggi - ultimi Consob usciti un par di mesi fa forse meno - una percentuale piuttosto sostenuta ha una certa immagine illusoria e irreale di sé, ovvero dichiara di conoscere questo e quello, ma alla prova dei fatti la percentuale risulta minima e ci piazza in coda), che spingono verso irrealistiche - a mio avviso, of course - richieste (si veda anche la sfilza di richieste dei gilet gialli francesi) nei confronti della politica, del politico, dello Stato - che potrebbero essere non la soluzione ma il problema, al limite, e la cui eventuale incapacità però non fa altro che generare un'antipolitica 'populista' che paraddossalmentevsi risolve nella richiesta di più politica e più Stato - e verso la percezione di un'immagine del proprio paese, per sé e nel mondo oltre che del mondo, e della reale situazione in cui si trova, totalmente illusoria e che non fa altro che provincializzarci ed allontanarci dal resto del mondo (occidentale, e non solo) sempre più.
Mi scuso per la lunghezza ma come dicevo... mi piace l'idea di cogliere lo spunto dal 'nulla' per arrivare altrove. Un saluto ad entrambi.
Sì in inglese liberismo non esiste, esiste solo "liberalism". Liberismo potrebbe essere tradotto internazionalmente con "laissez-faire"?
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