Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Bisogna dirlo subito: il film, salvo qualche difettuccio qua e là (la tirata alla maturità, con tanto di citazione di scrittori di tendenza, poteva andare bene per un personaggio meno maturo del nostro Piero), funziona magnificamente, a cominciare dal titolo, che riprende il nome di un quartiere di Livorno, che però non è quello dove vive il protagonista (il film è stato girato nel blocco di case popolari detto "la cassa da morto", nella zona di Fiorentina o della "Guglia", cosiddetta dall'obelisco che campeggia al centro della piazza). E funziona soprattutto la prima parte, quella ambientata nelle zone popolari della città, con quei cortili dove la gente non si fa mai i cazzi suoi e dove i bimbi tirano calci al pallone finché non fa buio, mentre qualche tossico cerca di rimediare gli spiccioli per la dose quotidiana. Ma anche il resto del film Virzì (che già all'esordio colpì nel segno con "La bella vita", 1994) se lo è saputo giocare più che bene ed ha saputo incanalare sui binari giusti la tematica dell'impermeabilità dei due mondi in cui si divide Livorno: quello delle case popolari e quello delle ville con piscina, dei quali gli abitanti delle prime non sospettano neppure l'esistenza. E comunque i temi toccati da Virzì, che qui fa un cinema medio, raggiungendo risultati più alti della media, sono tanti e importanti: apparentemente il romanzo di formazione di Piero potrebbe avere come facile moraletta che la felicità è dietro l'angolo, se non che, a grattare un po' la superficie, si scopre che il succo è più amaro di quanto era sembrato, soprattutto se si pensa che il protagonista non riesce, per le condizioni economiche disagiate, ad esprimere le proprie potenzialità dimostrate a scuola, avendo vinto quello che lui chiama "l'oscar della scalogna": mamma morta, babbo in carcere e fratello handicappato. Parte della riuscita del film è da attribuirsi a merito degli attori, intelligentemente scelti da Virzì: bravissimo Edoardo Gabbriellini con lo sguardo sempre stupito di fronte alla vita, ed anche ad attrici altrove poco più che mediocri, come la Pandolfi e la Braschi. Ma la rivelazione del film è Marco Cocci, ottimo in quel ruolo di rampollo di buona famiglia, ribelle ma non troppo. (22/08/2007)
Da zero a ventitre anni, la vita di Piero, giovane livornese di famiglia disagiata (soprannominato Ovosodo, dal quartiere in cui è nato), al quale la vita sembra un boccone che non va né in su né in giù, "come avere inghiottito un uovo sodo col guscio e tutto".
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta