Regia di Alberto Fasulo vedi scheda film
Il calvario occorso all'ostinato mugnaio friulano del sedicesimo secolo, Domenico Scandella, meglio conosciuto con il nomignolo di Menocchio (1532-1599), trova la sua felice trasposizione cinematografica nel lavoro minuzioso ed austero con cui il regista di Rumore bianco e TIR, Alberto Fasulo, fa ritorno ad un cinema formalmente narrativo, ma di fatto anche non lontano da una rappresentazione quasi documentaristica di scorci di vita di un periodo appartenente ufficialmente all'età moderna, ma di fatto ancorato pesantemente a retaggi e fosche vedute di pensiero in cui la Chiesa ha sempre esercitato un ruolo preponderante.
Protesa a piegare e debellare ogni forma di interpretazione della dottrina cattolica e cristiana che andasse oltre la presenza castrante ed ottusa della sua burocratica, pesante presenza, la struttura ecclesiastica iniziò negli anni della maturità del mugnaio, ad interessarsi sempre di più di quell'azione di timido proselitismo che l'uomo, forte di una cultura da completo autodidatta, agevolata certo da una intelligenza fuori del comune, andava esercitando attorno a sé, richiamando una folla di popolani delle zone limitrofe, attratti dalla sua concezione rispettosa di Dio in quanto responsabile di tutto il creato, ma scettico su alcuni misteri della fede che permettevano alla Chiesa romana di barricarsi dietro verità insindacabili, protese a difendere la propria predominanza ed ingerenza anche al di fuori della spera prettamente spirituale.
La storia insegna tristemente le stragi e le persecuzioni generate dall'ottusità malvagia e premeditata della organizzazione ecclesiastica. Menocchio fu uno dei molti perseguitati perché illuminati da una verità pura e scomoda.
Il film, girato con stile documentaristico rigoroso e mirabile che ricorda molto il cinema di Paolo Benvenuti ed in particolare, per situazioni ed ambientazione, il suo bellissimo e penitenziale Confortorio, Menocchio funziona e convince molto, grazie anche alla interpretazione vibrante, composta e senza eccessi, di Marcello Martini, viso importante, levigato dagli anni, foriero di incutere soggezione, simile a quello altrettanto suggestivo di Richard Harris; personaggio dalla espressività potente e dallo sguardo orgoglioso che riesce ad incutere autorevolezza e un certo timore riverenziale, in linea con il carismatico protagonista che l'attore si impegna, con grandi risultati, ad impersonare.
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