Regia di Richard Brooks vedi scheda film
Una strage apparentemente insensata, due protagonisti non privi di lati misteriosi, un'indagine poliziesca con esito positivo: tanto bastò a Truman Capote per trarne uno dei romanzi di maggior successo della sua carriera. Era il 1966 (i fatti raccontati risalivano invece al 1959) e Brooks mise quasi subito mano al romanzo per ricavarne la sceneggiatura di questo film. Contrariamente a quanto farà, sbagliando tutto e anche di più, Bennett Miller quarant'anni dopo in una specie di remake che incentra incomprensibilmente tutta la storia sullo scrittore, qui Brooks indaga a fondo sulle complesse personalità dei due assassini, mettendoli ragionevolmente al centro della storia. Due ragazzi assolutamente normali, almeno in superficie, ed incapaci singolarmente di fare del male a qualcuno senza un preciso motivo; ma che uniti assieme sono stati capaci di una crudeltà immane come la strage di un intero nucleo famigliare; due caratteri inoltre piuttosto diversi, le cui distanze saranno amplificate ed affioreranno in maniera indiscutibile all'arrivo della sentenza di morte. Due (incolpevoli?) prodotti di problematiche famigliari e sociali, se si vuole guardare ancora più a fondo nella storia; ma Brooks non ha alcuna intenzione di giustificare gli omicidi e, anzi, ne mette in scena perfino l'esecuzione capitale, approfittandone casomai per suggerire l'idea dell'insensatezza della pena di morte (definita, dal primo dei due a salire sul patibolo, non tanto una pena quanto una inutile vendetta). Ciò che colpisce maggiormente nella forma estetica del film è di sicuro la fotografia: Conrad Hall opta per un bianco e nero intrigante e ben illuminato; musiche di Quincy Jones. 6/10.
Appena scarcerati, due ladruncoli tentano il colpo in un appartamento; ma il bottino non c'è e i due massacrano la famiglia. Ma la polizia è sulle tracce degli assassini...
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