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Au hasard Balthazar

Regia di Robert Bresson vedi scheda film

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SickDumpling

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Au hasard Balthazar

di SickDumpling
10 stelle

“Au hasard Balthazar” fa parte di quella che è stata da alcuni individuata come la seconda parte della filmografia di Bresson, in cui è assente la speranza che caratterizzava i suoi primi film, che pure avevano già uno sguardo piuttosto impietoso sul mondo.
 La storia tratta del rapporto tra Marie e l’asino Balthazar, un soggetto interpretabile in modo facilmente melenso da altri registi, ma un’occasione perfetta nelle mani di Bresson per mettere in scena la sua poetica come regista e autore.
 Bresson adotta un minimalismo fortemente stilizzato, finalizzato allo straniamento, utile alla fruizione consapevole e distaccata della pellicola, mettendo da parte un’emotività scontata e un’empatia superficiale, dimostrando una sensibilità originale, anticonformista e demistificatrice.
 Altri obiettivi dello stile bressoniano sono la sintesi e la chiarezza.
 Questo minimalismo si sostanzia in diverse scelte registiche che procederò ad elencare.
Le voci sono eliminate quando non funzionali (es. la prima inquadratura), come in certi film di Antonioni (es. la città silenziosa, seppur abitata, ne “La notte”).
Al contrario di una certa tendenza del cinema d’arte europeo (es. Antonioni e Tarkovskij) i tempi del film non sono dilatati, ma le scene sono generalmente il più concise possibile, per amor di sintesi.
Come in “Diario di un ladro” la macchina non segue i personaggi interi, ma l'attenzione è rivolta ai dettagli per amor di chiarezza, soprattutto i movimenti delle mani (ma anche ruote, zoccoli e persone che camminano), che sono al centro delle inquadrature che le seguono. L’azione viene depersonalizzata, per amor di distacco. Non si ricerca l’iconicità intesa come creazione di immagini da ricordare. Nonostante Bresson si soffermi sui dettagli esiste anche profondità di campo.
Mi sembra ci sia interesse nelle cose che accadono, ma non nel loro perché (il contesto è abbozzato), che viene lasciato all’interpretazione dello spettatore. Si ricerca la caratterizzazione psicologica di alcuni personaggi, ma in modo non intimista. Non si vogliono spiegare chiaramente i personaggi né le loro ragioni. Lo sguardo si potrebbe dire distaccato: è indagatore, ma solo visivo, senza farsi una vera idea.
Queste caratteristiche stilistiche di cui parlo sono perlopiù tendenze, perché sono presenti inclinazioni al tradizionalismo, come l’uso della musica drammatica e la volontà di emozionare (in realtà appena accennata). Registi contemporanei come Lanthimos potranno rifiutare anche questi compromessi.

La scena in cui Marie adorna l’asino è utile per spiegare il minimalismo di Bresson: la protagonista pone dei fiori sul capo dell’asino e gli dà un bacio, poi si siede e segue uno scambio di sguardi; una mano di ragazzo si avvicina a quella della ragazza; quando viene toccata Marie scappa in casa, senza enfatizzazione musicale né urla, ma con pochissime inquadrature; da dentro casa vede i ragazzi che picchiano l’asino; non si mostra in nessun modo il fatto che lei stia soffrendo, ma lo si deduce solo dall’affetto con cui aveva trattato prima l’animale; il tutto dura pochi secondi, solo quelli ritenuti necessari dal regista per rendere chiaro il messaggio. Tutto ciò senza nessuna voce, nemmeno sospiri. Si mostra il minimo indispensabile. La recitazione non lascia trasparire emozioni.

La caratterizzazione della protagonista sembra cambiare da una scena all’altra. Non è chiaro se si tratti di un’evoluzione o del progressivo disvelamento da parte dell’autore di vari aspetti del carattere di lei, che è anche bugiarda, complicando l’interpretazione.
Marie inizialmente appare insicura e emarginata. Viene stuprata e per questo si fidanza. L’amore che dichiara per il ragazzo è una facciata consueta negli ambienti provinciali degli anni ‘60. Ha una svolta emancipatrice in cui usa il suo aspetto come strumento di potere sugli uomini, ma appare ancora confusa e sola. Poi appare disillusa e moderna, decisa a non sposarsi, infrangendo il sogno e la promessa d’infanzia. Non reputa la sofferenza un valore e non è orgogliosa come il padre.
Come sarà in “Muchette” Bresson descrive un mondo in cui gli uomini impongono il proprio volere con la violenza, senza dover parlare.
Come si dice nel documentario “The story of film” in Bresson non c’è espressività, gli attori non hanno espressività, i personaggi non hanno furore.

Tolta la comunicazione emotiva lo spettatore è spinto a riflettere (invece di commuoversi, secondo l’insegnamento di Brecht) su ciò che vede, in particolare sulla psicologia dei personaggi e sul senso della tragedia, aspetti che sono lasciati impliciti.
Era necessario che un film così tragico, pervaso di sfiducia e rassegnazione, non cadesse in un facile pietismo. Dunque la filosofia estetica di Bresson è fermamente ancorata ai significati a cui è asservita.

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