Regia di Franco Zeffirelli vedi scheda film
Nella Parigi del XIX secolo la prostituta Violetta sta morendo di tisi. Ripercorre così la sua travagliata esistenza, partendo dall'amore impossibile per il bell'Alfredo.
Zeffirelli all'ennesima potenza: l'amore per la lirica si mescola all'innato gusto estetico dell'autore di questo film, per dare vita a una trasposizione cinematografica de La traviata di Verdi (tratta da un romanzo di Dumas figlio, con libretto di Francesco Maria Piave e sceneggiatura di Zeffirelli). Davvero cinematografica, va sottolineato: questo è un film a tutti gli effetti, sebbene non vi siano dialoghi, ma solo parti cantate, e l'azione sia ridotta ai minimi necessari per comprendere quanto gli attori-interpreti canori in scena stanno cantando. Un esperimento che forse solo il regista toscano poteva permettersi (e solo lui poteva permettersi di riuscirvi, data l'acuta sensibilità in entrambi i campi di appartenenza dell'opera, cioè quello della lirica e quello del cinema); un omaggio a Verdi a cui prendono parte fior di professionisti e che ha anche ricevuto, non a torto, due nomination agli Oscar: per i costumi di Piero Tosi e per le scenografie di Gianni Quaranta. Teresa Stratas, Placido Domingo, Cornell MacNeil, Axelle Gall sono i nomi principali impiegati nel cast: nessun bisogno di presentazione per loro; Ennio Guarnieri cura la fotografia, mentre il montaggio è affidato a Peter Taylor e Franca Silvi. La forma innanzitutto; la sostanza è già di più difficile accesso, specie per il pubblico non melomane. Per Zeffirelli, dopo il successo del Gesù di Nazareth del 1977, si era aperta una breve e disastrosa parentesi americana, con l'uscita di due lavori ad alto costo e scarsa resa come Il campione e Amore senza fine (1979 e 1981), dopo dei quali - saggiamente - il regista non poteva che cercare di dedicarsi a qualche diversivo: scelta intelligente e azzeccata, quella di ripiegare sulla lirica. 5,5/10.
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