Regia di Robert Zemeckis vedi scheda film
Tutto bene, fino al Contact.
Contact è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Carl Sagan, importante astrofisico e figura di primo piano del SETI (programma di ricerca sull’intelligenza extra-terrestre), e pur con qualche modifica minore nella trama riesce a mantenere il messaggio portante del libro: se anche fossimo tecnologicamente pronti a incontrare civiltà extra-terrestri, psicologicamente, politicamente e socialmente non lo siamo ancora.
Attraverso il dipanarsi della trama la pellicola rende bene – come attraverso una macchina ai raggi X – lo scatenarsi di interessi di parte, ideologie, ipocrisie, personalismi e psicosi collettiva che seguirebbero la shoccante scoperta che qualcuno “da lassù” ci sta chiamando. L’indubbia conoscenza dall’interno di Sagan dei meccanismi umani, nobili e meno, viene riproposta col medesimo distaccato cinismo da Zemeckis, benché sia ovvio che in un film di un paio d’ore si perda necessariamente qualche sfumatura.
Il merito dell’opera è di essere serrata nel ritmo, con pochi momenti morti, e quindi un succedersi continuo di colpi di scena, il cui protagonista principale è il deus ex-machina John Hurt/S. Hadden, davvero convincente nel ruolo. L’ambiguo industriale è sempre un passo avanti agli altri, e conduce per mano la pupilla Jodie Foster/Ellie Arroway nella sua difficile battaglia di riconoscimento dei propri meriti, dove le controparti sono rappresentate dall’arrivismo personale di Tom Skerritt/David Drumlin e la paranoia politica di James Woods/Michael Kitz. A completare lo schieramento di battaglia nel tutti contro tutti c’è l’invasato guru Jake Busey/Joseph, che con poche parole ma un’espressività allucinata simboleggia perfettamente il Sonno della Ragione nelle sue più estreme conseguenze. Sagan e Zemeckis “conoscono i loro polli”, cioè la società americana, e il regista riesce a renderne le contraddizioni con poche pennellate di sapore grottesco. Il tema del difficile rapporto tra etica scientifica e fede religiosa è affidato alla storia sentimentale tra la Arroway e il “consigliere spirituale” (sic!) Matthew McConaughey/Joss Palmer, anch’essa non priva di umana debolezza e contraddizioni tra il pensare e l’agire.
A completare il quadro, Zemeckis introduce a proprio capriccio ma con indubbia suggestione visiva una sottotrama tecnologica, cioè la costruzione della Macchina per il viaggio intergalattico, che nel romanzo merita solo un cenno e invece nel film diviene un totem incombente e misterioso che cresce sullo sfondo delle inquadrature. Che il regista ci abbia visto giusto nell’aggiungerci del suo lo provano i siti internet dedicati in esclusiva al monstrum.
Nel complesso, un film fatto con cura e attenzione, per nulla banale, in cui l’elemento fantascientifico è solo un pretesto per riflettere su tematiche squisitamente umane (come dovrebbe sempre essere, no?).
Ciò che a mio personale avviso ne fa una pellicola buona ma che fallisce l’impresa di diventare ottima è la parte finale, dapprima con un decadimento da tecnologica a disneyana/dei buoni sentimenti (l’incontro con l’alieno non si può proprio vedere, se non nei cinema parrocchiali per bambini) e poi con una conclusione giudiziaria forzata e implausibile, in cui il lupo-Foster si trasforma in un confuso agnellino sacrificale, contraddicendo la personalità mostrata fino a quel momento: Zemeckis aveva fretta di chiudere, in qualsiasi modo.
Nonostante ciò, un film che è bene vedere e si può tranquillamente rivedere.
Completano il cast di rilievo: William Fichter/Kent, David Morse/Ted Arroway, Angela Bassett/Rachel Constantine, Rob Lowe/Richard Rank.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta