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Ailo - Un'avventura tra i ghiacci

Regia di Guillaume Maidatchevsky vedi scheda film

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La recensione su Ailo - Un'avventura tra i ghiacci

di maurri 63
6 stelle

Paesaggi incontaminati e mozzafiato non sorridono sempre alla storia: Ailo, cucciolo di renna impara a crescere schivando i pericoli ma la narrazione è lenta e spesso soporifera.

Una renna appena nata impiega cinque minuti per alzarsi sulle zampe, cinque per cominciare a camminare e cinque per imparare a nuotare: Ailo, da cucciolo di renna, impara a crescere attraverso le stagioni e il film ne racconta la vita in sedici mesi, dal parto alla giovinezza, seguendo animali che scappano da pericoli e cercano di sopravvivere nei paesaggi incontaminati e mozzafiato della taiga e dei fiordi.

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Ailo - Un'avventura tra i ghiacci (2018): scena

Seguendo la tradizione del cinema francese che studia il mondo animale nella sua naturalezza, Guillaume Maidatchevsky compie con “Ailo- Un'avventura tra i ghiacci” un'esperienza ibrida e, tutto sommato, poco chiara: ignoto resta, infatti, il target di riferimento, come il processo cinematografico che rinuncia a mettere in scena un'urgenza visiva quale lo sconvolgimento climatico a favore di una narrazione frastagliata e non sempre convinta che pone il tema della sopravvivenza come centro del proprio immaginario.

Va qui ribadito quanto anche molti critici d'Oltralpe hanno affermato: le renne, fondamentalmente cervi enormi legati alla tradizione della slitta di Babbo Natale, sono meno nobili di animali polari quali orsi e pinguini, perciò l'operazione condotta dal documentarista francese, che prova a fondere realismo e finzione, è decisamente coraggiosa.

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Ailo - Un'avventura tra i ghiacci (2018): scena

Tuttavia, se in “Microcosmos- Il popolo dell'erba” (1996) Claude Nuridsany e Marie Perennou illustravano un giorno da insetto con la voglia di raccontare una commedia, senza avere intenti entomologici, così come Jacques Perrin de “Il popolo migratore” (2001) si abbandonava al racconto estetizzante, dopo quattro anni di riprese, qui, al contrario, Maidatchevsky cerca la verità scientifica e non la storia, forzando le linee narrative per illustrare una propria idea, selezionando animali fotogenici ma rimanendo inerte rispetto alla maestosità dei paesaggi che sono lasciati in secondo piano. L'opera, paradossalmente, risulta monca proprio nella sua forma narrativa, laddove cioè le immagini non seguono una consecutio temporum che rimetta in ordine i passaggi chiave, lotta-cibo-riposo. Sembra, infatti, di ritrovarsi ad ammirare un quadro astratto non compiuto, talvolta affascinante ma povero di spiegazioni, illogico nella sua natura scientifica – in fondo, la renna è animale decantato ma poco conosciuto – e si perde nella retorica della voce fuori campo, ingombrante e soporifera. La prima parte, così, lenta e sonnolenta, non favorisce l'empatia con il gruppo di animali che il regista intende seguire e invece di mostrare, dimostra, trovando la noia dello spettatore, soprattutto quelli piccini, che non hanno necessità di tante spiegazioni quanto di trovarsi coinvolti nella storia. Nella seconda parte, con Ailo ormai adulto, capo branco di giovani renne e deciso a guidare il suo gruppo, il film riprende fiato e, seppur sorretto da un eccessivo didascalismo (la narrazione è di Morgan Navarro e Marco Rohr), diventa più avvincente, anche senza mai raggiungere le vette del suo predecessore, “La marcia dei pinguini” (2005), di Luc Jacquet, cui sembra essere ispirato. La scelta di raccontare tutto attraverso un narratore onnisciente, che in italiano è Fabio Volo, penalizza la possibile identificazione con il protagonista, privo di una propria coscienza interiore e vittima della ripresa in campo lungo quando, insieme con l'autore, sembra proprio non sapere dove andare.

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Ailo - Un'avventura tra i ghiacci (2018): scena

Quando un film “è” documentario, il critico deve affidarsi alla propria capacità di individuare dietro l'apparato visivo, una costruzione coerente con i principi posti in campo all'inizio del film: il documentarista, quale è Maidatchevsky, si appresta alle riprese dopo un'inchiesta conoscitiva relativa agli argomenti del tema prescelto, sulla quale avrà scritto una sceneggiatura di massima. In questo caso, la Lapponia, che viene ripresa abbondantemente in campo lungo ma non è mai geograficamente connotata, rappresentava una sfida molto difficile, rivelando disagi estesi alla troupe e problematiche insolite: gli animali, ripresi come e quando possibile, spesso scomparivano alla vista, i cuccioli crescevano in maniera non prevedibile e non sempre il filo logico poteva essere ricostruito. In un materiale di tal tipo, la troupe è come un battitore, cioè quel che conta è la prontezza di riflessi del regista-cacciatore e quindi diventa fondamentale la sua agilità nel prendere le decisioni. Tuttavia, “Ailo” non è cineinformazione, non fa uso di sintesi, se non nella voce off, e le sequenze impreviste – alcune, comunque splendide: si pensi al wolverine (il ghiottone) catturato prima nelle sue intenzioni animalesche di cacciatore vicino alla preda e poi sparito improvvisamente dalla vista per riapparire lontano dal campo visivo, in fuga dall'uomo – sono il più delle volte gratuite, estese ad un generico discorso di conservazione della specie piuttosto che funzionali alla storia del protagonista.

Un'avventura tra i ghiacci, quindi, che può interessare l'adulto, che si appresta alla visione con l'animo della conoscenza, molto meno al bambino che cerca l'intrattenimento.

 

 

 

 

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