Regia di Margherita Ferri vedi scheda film
Convince a metà l’esordio alla regia di Margherita Ferri, che grazie al Biennale College Cinema ha portato a termine il dramma adolescenziale Zen sul ghiaccio sottile. Protagonista della storia è Maia, un’adolescente che tutti chiamano Zen (le prime tre lettere del suo cognome) e che in una non meglio specificata località sull’Appennino emiliano frequenta le superiori, gioca a hockey su ghiaccio in mezzo a tanti ragazzi e che è vittima di atti di bullismo per essere da tutti considerata lesbica. Isolata da tutti e con la sola complicità silente della mamma e del suo allenatore, Maia viene salvata dall’ennesima prevaricazione da Vanessa, una compagna di classe che in cambio le chiede un favore: le chiavi del suo rifugio di montagna per trascorrervi la notte con il fidanzatino e avere la sua prima volta. Maia accetta ma l’insoddisfazione sessuale generata dall’incontro porterà a conseguenze che nemmeno lei sarebbe mai stata in grado di prevedere.
Sfruttando il tema dell’identità come tematica di fondo, la Ferri si lascia sopraffare dal suo stesso film finendone inconsapevolmente vittima. Non perché non sia un’opera riuscita, intendiamoci: ha una freschezza di sguardo che la maggior parte degli esordienti italiani appena sfiora. Il problema, superato l’abbagliamento dei paesaggi poco rappresentati al cinema, è nella sceneggiatura: tante tematiche vengono lanciate senza essere mai approfondite, diversi snodi trovano risoluzioni semplicistiche e lo snodo stesso della vicenda ha qualcosa di prestabilito a tavolino. Il canovaccio è semplice: status quo, rottura e riconferma dell’eroe.
Prove d’iniziazione e analisi alla spicciola, ci dicono che Maia è solo un maschiaccio, che se vuole andare avanti nella vita deve imparare a reprimere gli istinti, che spesso è meglio ingoiare piuttosto che urlare la propria rabbia e che occorre sempre diffidare da coloro che da un giorno all’altro si professano amici. Per certi versi, invece, Maia rimane vittima della sessualità: non della sua ma quella dell’amica, che sembra essere uscita direttamente da I’m – Infinita come lo spazio (stesso colore di capelli, stessa attitudine al disegno: casualità?). Ma anche del complesso di Elettra: seppur inconsciamente, anela a diventare il padre morto e a sostituirsi a lui. Approfondire quest’aspetto sarebbe stato alquanto interessante: non mostrare le conseguenze di un video virale su YouTube quando si parla di sequestro di persona, invece, è infantile.
Vivendo dell’interpretazioni di giovani alle loro prime esperienze, Zen sul ghiaccio sottile è fin troppo chiaro e non avrebbe avuto bisogno di mostrare letteralmente il ghiaccio che a poco a poco si rompe sequenza dopo sequenza: le allegorie non vanno mai sottolineate altrimenti si corre il rischio di ritenere stupido lo spettatore. Urge però concedere presto alla Ferri una nuova opportunità: i movimenti di macchina, lo sguardo sul panorama e la delicatezza della regista meritano una storia diversa, sicuri che sentiremo molto parlare di lei in futuro.
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