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CoinCoin and the Extra-Humas

Regia di Bruno Dumont vedi scheda film

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La recensione su CoinCoin and the Extra-Humas

di mm40
2 stelle

In un paesino dell’Alta Francia piovono strane macchie nere e collose di materiale alieno. Il commissario Van der Weyden, tourettico e un po’ stupidotto, anziché indagare sul fatto si preoccupa di controllare patenti, fermare ragazzini in scooter e fare acrobazie sull’auto della polizia guidata dal fidato tenente Carpentier.

Deridere gli storpi e i malati non fa ridere: ecco cosa c’è che non va in Coincoin, sequel della fortunata serie tv P’tit Quinquin (2014), dallo stesso regista e sceneggiatore – Bruno Dumont – e con lo stesso cast. Ma quel che è (brutalmente) cambiato fra i due episodi – entrambi composti da quattro puntate della durata di 50 minuti ciascuna all’incirca – è l’atteggiamento dell’autore nei confronti dei suoi personaggi e della sua materia narrativa; in Coincoin manca completamente la pietà disarmata che permeava la storia di Quinquin, manca quel senso di struggimento impotente di fronte all’umanità sballata, sbilenca, ‘diversa’ del primo capitolo, e la storia altro non fa che girare a vuoto intorno a un paio di avvenimenti superficialmente descritti (una pioggia di materiale alieno, un nuovo amore per Quinquin/Coincoin), senza raccontare, ma preferendo buttarla di continuo in (facile) risata. Una risata grossolana, di pancia, a metà fra slapstick e barzelletta politicamente scorretta; ma quello di Coincoin è un politicamente scorretto che si fa beffe dei disabili senza fornire particolari motivazioni, senza provocazioni o spunti di riflessione. E si presume di poter chiudere la constatazione così: al contrario delle intenzioni dell’autore. Un’occasione non semplicemente persa, dunque, ma rovinata per Dumont, cineasta che ha dimostrato nel corso della sua ormai lunga carriera un’attenzione sopra la norma gettando uno sguardo profondo verso categorie umane particolarmente sensibili, a partire dagli adolescenti (basti pensare al suo esordio, L’età inquieta, del 1997); all’apice di tale rovinosa situazione c’è poi il finale-non-finale che scimmiotta fin troppo platealmente 8 ½ e Il settimo sigillo, donando per giunta al lavoro l’aria di chi si crede meglio di ciò che effettivamente è. 2,5/10.

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