Regia di Bruno Dumont vedi scheda film
Bruno Dumont ritorna sul luogo del crimine, riproponendo i personaggi umanamente dimessi e mentalmente sconnessi che avevano fatto trionfare la prima stagione di P'tit Quinquin.
I bambini ovviamente sono cresciuti, anche se a un livello più fisico che interiore, mentre i due commissari sembrano immutati nel tempo, in quanto figure iconografiche, degne maschere della commedia dell'arte o novelli Dupont & Dupont in preda a schizofrenia.
E sono loro le figure che dominano la seconda stagione, ormai privi di freni e ritegno quanto la stessa trama, che pesca a piene mani nel demenziale quando non nel demente. E se questo all'inizio produce effetti esilaranti alla lunga mostra la corda, appellandosi ad una ripetitività di gag che tende un po' a stufare fino a far sparire pian piano qualsiasi sviluppo tramico (cosa che non capitava nella prima stagione) al punto che persino Dumont sembra perdersi nel suo stesso meccanismo, un po' perdendo per strada anche gli spunti più "seri" (il parallelo tra migranti e invasori alieni).
E un finale "apocalittico da cortile", che tra girotondi bandistici e maschere da circo richiama sfacciatamente Fellini, più che un omaggio poetico sembra uno stratagemma per togliersi dall'impiccio.
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