Regia di Roberta Torre vedi scheda film
Uno dei rarissimi esempi di musical italiano, per di più sullo sfondo di una sanguinosa guerra mafiosa, Tano da morire, opera prima di Roberta Torre, è un piccolo film fatto con pochi mezzi eppure dal respiro così largo da sembrano un’opera ben più lunga. La storia trasuda di nozioni di mafia spicciola (espresse dalle donne d’onore e dagli uomini di cosa nostra), riuscendo a non mitizzarla e a consegnarla al pubblico priva di qualunque intenzione di umanizzare i mafiosi. Al centro della storia, infatti, ci sono le sorelle del protagonista, che, come molte donne siciliane, restano a guardare e, alla morte del congiunto maschile più importante, si ammazzano di dolore urlando e strepitando. Colorato, sporco, con un linguaggio quasi cartoonesco, pop e pulp, visionario e limitato dentro uno spazio teatrale, semidocumentaristico e finta inchiesta, lo straboccante musical della Torre (musicato dall’epico Nino D’Angelo) è la festa macabra del grottesco, della celebrazione caustica dell’automitizzazione (il fantasma di Tano non fa altro che autoaffermarsi in quanto spirito guida e piccolo dio eterno), della popolare e scatenata autoreferenzialità estrema e chiassosa di certo sud. Un’ora d’aria nell’asfissiante cinemino italiano, con i titoli di coda più belli degli ultimi vent’anni, in cui tutti gli attori non professionisti svelano le proprie identità (panettieri, infermiere, agricoltori, perfino una baronessa…) e cantano in un meraviglioso playback.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta