Regia di John Frankenheimer vedi scheda film
Storia fantastica (derivata dallo scrittore britannico H. G. Wells) che si basa troppo sui trucchi e sugli effetti speciali. E per fortuna che dietro alla macchina da presa c'è John Frankenheimer che riesce, alla meno peggio, a tenere dritta la barra del timone. La morale sull'uomo che si atteggia a dio e pretende di creare la razza perfetta è ormai risaputa, ma L'isola perduta qualche riflessione la induce. E sono quelle, in particolare, che fece Tullio Kezich all'uscita del film (23 agosto 1997), sulla carriera di Marlon Brando. Se dai tempi di Fronte del porto a Ultimo tango a Parigi la sua parabola segue un andamento tutto sommato lineare, anche se per un divo che si appropria di una carriera da antidivo, in seguito Brando persegue una sorta di politica di distruzione del proprio fisico e della propria carriera che, come dice Kezich (e con la lodevole eccezione di Apocalypse Now), è stata «stiracchiata attraverso una serie di apparizioni brevi, venali e ciniche». Forse neppure una biografia travagliata come la sua può spiegare una simile piega artistica.
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