Regia di Wes Craven vedi scheda film
A metà degli anni novanta, Wes Craven prova a dare un’ulteriore sterzata al genere horror, introducendo con Scream, primo film di una serie che ad oggi è arrivata al suo quarto capitolo, elementi satirici e pseudo demenziali simili ai testi dei teenager’s movies, con il duplice scopo di attrarre nuove fasce di pubblico e di rinnovare un genere destinato a ripetersi nei contenuti e nelle situazioni contingenti. Nella cittadina americana di Woodsboro si verificano degli efferati omicidi, ne sono coinvolti un gruppo di studenti della scuola locale, e in particolare Sidney, una ragazza che ha perduto la madre un anno prima, uccisa con le stesse brutali modalità ma che la sua testimonianza aveva permesso di catturare il presunto assassino. Nel pieno rispetto della filosofia del genere, Craven monopolizza lo spettatore con la storia, avvincente dalla prima all’ultima inquadratura, gioca con gli stereotipi dell’horror, realizzato con il consueto basso livello interpretativo che sviluppa un manuale teorico pratico del genere, dividendosi continuamente fra tensione, paura e didascalie retoriche disseminate come citazioni, rimandi e svelamenti del gioco ancora in grado di stupire e di fare sobbalzare lo spettatore dalla sedia. Lasciati i riferimenti gotici, fantascientifici, fobie e ansie quotidiane, non rimane che la risoluzione, lo smontaggio completo del meccanismo, la sua messa a nudo. Il risultato diverte e appassiona, a parte la bella scena iniziale, da citare obbligatoriamente tutta la parte finale, con lo studente lezioso che fa guardare una videocassetta horror agli amici, elencando i passi per la costruzione della paura e dei colpi di scena, in un insieme di passaggi magistralmente costruiti fra realtà, finzione, schermi tv, cineprese nascoste e occhi umani a testimoniare l’autorigenerazione, la possibilità infinita di riprodurre immagini, di moltiplicarne gli effetti e le conseguenze. La differenza marcata con un horror che mantiene la sua seriosità rappresentativa fino in fondo e Scream, la si rileva a una seconda visione, dove se, pur conoscendo le trame e i loro sviluppi, mentre l’horror classico può mantenere alto lo stato emotivo mentale di chi guarda lasciando che goda della sua sensazione paurosa che si risolleverà nel finale, in Scream la replica è sconcertante: il materiale horror risulta assolutamente disinnescato, mentre emerge il piacere assoluto dello svelamento, della visione fine a sé stessa, della ricostruzione del congegno e dei suoi feticci artificiali. B-movie, certo, ma che forse grazie a Scream, autori di lignaggio superiore hanno successivamente raccolto le tracce visive e manipolato in lavori più completi e maturi senza etichettature e senza limiti di rappresentazione.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta