Regia di Jules Dassin vedi scheda film
Chissà se è vero se Dassin, realizzando quest'opera, fu effettivamente influenzato dal neorealismo italiano oppure no. Qualche elemento, soprattutto riferito a ROMA CITTA' APERTA o LADRI DI BICICLETTE (che pure è del medesimo 1948), pare di poterlo cogliere, soprattutto con alcune sequenze girate dal vero, la presenza di una città (New York) che, con i suoi "otto milioni di storie", profuma di realtà. E' indubbio, in ogni caso, l'approccio innovativo di Dassin al genere noir, rispetto agli illustri predecessori. Qui il protagonista non è né un grande criminale né un investigatore privato dalle maniere spicce né un qualche altro deus ex machina o supereroe. Se si guarda alla trama (peraltro non particolarmente avvincente o ricca di colpi di scena), il protagonista è un grigio ometto d'origine irlandese, che di mestiere fa il tenente della polizia. E' un vedevo di una certa età, cui l'esperienza ha insegnato poche cose ma buone: l'onestà, la fiducia nella pazienza, la necessità di compiere un passo alla volta in direzione della verità, il rispetto delle procedure e il rifiuto dei metodi superomistici. Per lui, la stesura di un buon rapporto vale quanto l'inseguimento di un criminale in mezzo alla folla. L'uso delle armi deve essere limitato allo stretto indispensabile. La polizia deve agire come una macchina che utilizza come forza d'urto il lavoro di gruppo: tanto è vero che l'unica volta in cui il poliziotto giovane si avventura in un tentativo d'arresto da solo, ne busca dall'ex lottatore. Fotografato genialmente da William Daniels (che ebbe l'Oscar) fino dalle sequenze iniziali, che immortalano dall'alto una New York postbellica, moderno formicaio, per concludersi con una magistrale sequenza d'inseguimento a piedi ripresa frontalmente, "La città nuda" è un piccolo capolavoro che, nella sequenza finale, ci fa notare (senza moralismi) quanto velocemente si possa salire in alto con la carriera criminale e quanto repentinamente si possa cadere negli abissi. Gli autori del film sono sostanzialmente quattro: il produttore Mark Hellinger, il regista Dassin, gli sceneggiatori Albert Maltz e Malvin Wald. Notevoli, comunque anche gli apporti del fotografo Daniels e del musicista Miklos Rosza.
Ringrazio la mia collega Elena per alcune interessanti osservazioni sul film.
L'omino che domina la scena. Senza protagonismo, si impone nella memoria per l'interpretazione di questo poliziotto esperto e bonario che, con la pazienza del Porfirij Petrovic di "Delitto e castigo", dipana l'intricata matassa iniziata con un traffico di gioielli rubati e culminata con l'omicidio di una giovane indossatrice.
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