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La città nuda

Regia di Jules Dassin vedi scheda film

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La recensione su La città nuda

di port cros
10 stelle

Un classico del poliziesco investigativo che avrebbe influenzato il genere nei decenni a venire, fa di New York una vera coprotagonista, non ricostruita in uno studio hollywoodiano, ma ripresa in tutta la sua vivacità in oltre cento locations esterne spesso con macchina da presa nascosta, mescolando come mai prima realismo e noir.

 

Barry Fitzgerald

La città nuda (1948): Barry Fitzgerald

 

 

Pietra miliare del noir metropolitano, si apre con le immagini della skyline di Manhattan e la voce narrante del produttore Mark Hellinger, che dapprima enuncia i titoli di testa (solo a voce, non appaiono scritte sullo schermo), poi introduce il setting urbano ma soprattutto la scelta stilistica degli autori, avvertendoci che non vedremo un film girato in studio come da tradizione hollywoodiana, bensì nelle strade stesse di New York. La voce narrante poi ritorna regolarmente nel corso della pellicola a accompagnarne gli snodi fondamentali e addirittura sembra pungolare e consigliare , seppur non udita, i personaggi, persino i cattivi (“non perdere la testa adesso!”).

 

L'intreccio prende le mosse dall'omicidio di una avvenente modella, Jean Dexter, una delle tante ingenue provinciali attratte dalle scintillanti luci e lusinghe della metropoli, che nel cuore della notte, mentre la città dorme e persino le banche di Wall Strett e i teatri di Broadway sono deserti, incontra una brutta fine nella propria vasca da bagno. La squadra omicidi, diretta dal veterano detective Dan Muldoon coadiuvato dal volenteroso giovane Halloran, all'inizio sembra brancolare nel buio, tra testimoni bugiardi, coincidenze inspiegabili e false piste. Compito della squadra omicidi è assemblare pazientemente i pezzi del puzzle, avanzando passo passo nel progressivo disvelamento della verità : la ragazza era coinvolta in un losco giro di furti di gioielli e ricettazione. Individuato il colpevole, lo seguiamo braccato dagli agenti nello spettacolare inseguimento finale tra le strade della città fino all'epilogo al cardiopalma sulle strutture metalliche del Williamsburg Bridge.

 

 

Ted De Corsia

La città nuda (1948): Ted De Corsia

 

 

The Naked Cityè un classico del poliziesco che avrebbe influenzato il genere nei decenni a venire, al punto che lo spettatore moderno può avere difficoltà a riconoscere il suo impatto innovativo, abituato com'è da decenni a trovare nei film del genere i topoi narrativi che nel 1948 costituivano un'assoluta novità. Il film ci mostra scrupolosamente il metodico lavoro di indagine in tutti i suoi aspetti che ormai ci sono ben noti, dalla raccolta delle prove sulla scena del delitto, agli interrogatori di testimoni e conoscenze della vittima, all'esame autoptico del cadavere. Si sofferma sulla fatica anche fisica degli investigatori della omicidi che macinano chilometri dietro piste non sempre fruttuose (“stanno reggendo i tuoi piedi Halloran?” scherza la voce narrante). Uno script serrato e teso verso la soluzione del mistero, ma che non si lascia mai assorbire dall'intreccio poliziesco al punto da dimenticare il contesto, che rimane dalla prima all'ultima scena parte integrante del tessuto narrativo. La città nuda, New York, è infatti una vera e propria coprotagonista e i suoi abitanti popolano le inquadrature così come le sue strade trafficate e i grattacieli in costruzione, con l'uso di oltre un centinaio di locations esterne, la maggior parte riprese senza che i passanti ne fossero consapevoli: il direttore della fotografia William H. Daniels utilizzò una macchina da presa nascosta montata sul retro di un furgone per catturare l'autenticità della vita cittadina.

 

 

scena

La città nuda (1948): scena

 

 

 

Ne deriva un taglio documentaristico, in una pellicola ricchissima di dettagli di vita quotidiana e di ambiente, che trasforma il crime drama in qualcosa di più vivace e imprevedibile, arricchito per la prima volta da risvolti sociologici, con i detective che si addentrano nelle lavanderie, nei cantieri edili, nei parrucchieri e nei fast food per interrogare l'umanità che popola questi luoghi della vita quotidiana. Il regista si sofferma su particolari apparentemente insignificanti, come i deliri di una vecchia pazza che consiglia di seppellire un dente di cane al cimitero o le discussioni familiari del detective Halloran con la moglie su a chi spetti sculacciare il figlio discolo. Dettagli che non sono finalizzati a far proseguire l'indagine del dipartimento di polizia, ma che fanno vibrare lo schermo con la vivida realtà della metropoli, sfavillante e oscura allo stesso tempo, che come ci ricorda la voce narrante in chiusura è teatro quotidiano di milioni di storie che potrebbero diventare altrettanti film (“There are eight million stories in the naked city. This has been one of them”). Una capacità unica di scandagliare il cuore nero del labirinto urbano che il regista americano Jules Dassin saprà poi trasferire anche a Parigi con il successivo capolavoro Rififi.

Ma accanto al realismo documentaristico c'è l'immaginario espressionista tipico del noir: inquadrature dal basso, movimenti fluidi della telecamera, ombre dure e composizioni grafiche drammatiche per creare un senso di minaccia e oscurità. La fotografia in bianco e nero di William Daniels compone così uno stile visivo unico, debitore tanto al neorealismo italiano quanto all'espressionismo, che fruttò al film uno dei suoi due Oscar, mentre il secondo fu assegnato all'altrettanto brillante montaggio di Paul Weatherwax.

 

 

scena

La città nuda (1948): scena

 

 

 

L'autore trova anche il giusto spazio per aprire una breccia nell'interiorità dei personaggi: l'ironia amara e acuta del vecchio e scafato detective Dan Muldoon (Barry Fitzgerald), la caparbietà del giovane investigatore Jimmy Halloran (Don Taylor), che vediamo alle prese con la fatica dello scarpinamento e con i problemi domestici di giovane padre. Figure di poliziotti che sono anche uomini comuni, lontani dal modello del duro alla Humphrey Bogart protagonista dei più fortunati crime noir hollywoodiani. L'ex fidanzato della vittima Niles (Howard Duff ) è invece l'epitome del bugiardo matricolato, tanto compulsivo quanto maldestro nel mentire su qualunque cosa, il cui castello di menzogne è inesorabilmente destinato a crollare miseramente sotto la lente di ingrandimento della squadra omicidi. Dassin sa come inserire nel suo intreccio scene drammatiche profondamente emotive, come l'apparizione straziante dei genitori della vittima, con la madre che alle prime afferma, gelida e rancorosa, di odiarla per la vergogna che ha portato sulla famiglia, ma poi esplode in un pianto lancinante al vederla riversa sul lettino dell'obitorio.

 

 

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