Regia di Taika Waititi vedi scheda film
Anche in questo film in odore di Oscar, c’è di nuovo un burattino che vuole diventare uomo e nel paese dei balocchi quando uno si risveglia, non si risveglia affatto, si sveglia morto perché è la Germania durante la guerra...
Ancora una storia su un burattino, ancora un film che centra questo problema: come passare dal pupazzo all'essere umano, come diventare veri, in realtà. Anche in questo film, molto interessante, in odore di Oscar, c'è di nuovo un burattino che vuole diventare uomo, c'è la fata Turchina, c'è il grillo parlante che si chiama Elsa (che fortunatamente non muore), c'è Geppetto che si chiama Capitano K, ci sono addirittura il Gatto e la Volpe che si chiamano Gestapo, perché Lucignolo, il bambino cattivo, il compagno cattivo si chiama Adolf Hitler e nel Paese dei Balocchi quando uno si risveglia, non si risveglia affatto, si sveglia morto perché è la Germania durante la guerra.
Questo film è una grande metafora ed è intitolato Jojo Rabbit che tradotto in italiano sarebbe Giannino il coniglio e verte proprio sulle vicende di un bambino che ha come amico immaginario addirittura Adolf Hitler perché vive nella Germania nazista ed è stato riempito di odio e di pregiudizi contro gli ebrei, contro gli stranieri, contro tutti.
Fortunatamente, però, ricordiamo ancora sui muri delle città e delle università la frase: “Una risata vi seppellirà”.
La frase, in realtà, appartiene a Bakunin ed è una frase dell'ottocento: “La fantasia al potere e una risata vi seppellirà”. Ma nel 1968 fino al 1977 riapparve prima sui muri di Francia e poi in Italia.
Questa famosa frase “una risata vi seppellirà” è il tentativo di questo regista neozelandese - con un nome divertentissimo e curioso Taika Waititi, figlio di una donna ebrea e di un Mahori, nato in Nuova Zelanda - il quale portandosi dietro l’eredità dell'origine europea, ripropone in maniera ironica, dissacrante e divertente proprio uno dei drammi dell'Europa.
Proprio secondo il precedente di Benigni, secondo il precedente straordinario de “Il Grande Dittatore” di Charlie Chaplin, secondo il precedente favoloso e meraviglioso “Vogliamo vivere” di Ernst Lubitsch - “To be or not to be” (essere o non essere) il titolo originale - ripropone questo modo per irridere al nazismo e verso ogni forma di violenza.
Chiaramente il tentativo è quello di distruggere la forza e soprattutto la lugubre fascinazione del nazismo perché ricordiamoci che il nazismo è anche il momento in cui la pubblicità e la capacità ideativa del male raggiunge i livelli più alti, non solo attraverso le forme perverse e orribili dei campi di concentramento, della sopraffazione, della soppressione della stampa, della persecuzione di ogni animale e di ogni possibile oppositore, ma anche nella fascinazione terribile dell'uso dei mezzi di propaganda di massa.
Quel genio malefico di Goebbels riuscì a creare un epopea intorno al Nazismo. Ma era impressionante anche la capacità con cui furono disegnate le divise, furono preparati i modelli, gli emblemi, i singoli, cioè tutto ciò che affondava nell'inconscio collettivo.
Pensate che la svastica addirittura è un segno solare ariano ma antichissimo che viene dall'India ed è stato riproposto persino sulle rune nel Nord Europa, quindi è uno dei segni più antichi, usato anche dai romani e ce ne sono tracce persino nei tempi egiziani, proprio perché significa il cammino del sole, non solo quello del giorno, non solo quello mensile, ma anche quello annuale e quindi è un segno antichissimo che con grande abilità, proprio perché affondava nel nostro inconscio, è stato riproposto.
Tutta questa immensa fascinazione, tutto questo immenso apparato può essere distrutto - scusate se vi parla un vecchio 68ottino andato a male - attraverso questa forma di “una risata vi seppellirà” perché è l'unico modo per incrinare questo lugubre spettacolo e questo gigantesco apparato.
Il film si basa anche sull'interpretazione assolutamente deliziosa, tanto che è stato proposto per gli Oscar, del piccolo protagonista Roman Griffin Davis e quella di Sam Rockwell, un capitano della Wermacht, che è un personaggio paradossale, ma di grande impatto e di grande simpatia.
Rockwell è il famoso agente Duncan, uno dei protagonisti di 3 Manifesti a Ebbing Missouri, un film pluripremiato e straordinario, per cui lui ha preso addirittura un Oscar come miglior attore non protagonista. È anche il protagonista di un altro film interessantissimo, a mio giudizio uno dei film di fantascienza più interessanti, girato dal figlio di David Bowie, chiamato Moon, tutto un film che l'attore tiene da solo perché è l'unico personaggio per tutto il film che vi consiglio perché è molto interessante e particolare.
A questi personaggi si aggiunge sicuramente l'interessantissima Scarlett Johansson, la musa di Woody Allen, bella, straordinaria nel ruolo di veramente di una fata turchina. In questo caso è una mamma, una mamma meravigliosa, la mamma che tutti vorremmo avere avuto perché è simpatica, dolce e affettuosa, è veramente una fata Turchina e come lei muore, per aiutare il nostro personaggio a rinascere, perché ogni volta c'è questo problema della nascita.
Perché passare da essere un burattino, cioè da essere uno telecomandato a diventare invece qualcuno cosciente di sé, capace di autonomia, capace di giudicare e soprattutto di scegliere è di una difficoltà estrema.
L’unico modo per rompere l'involucro che chiude ogni pupazzo e ogni burattino e farlo volare come una crisalide, l'unico grimaldello oltre alla risata che può far seppellire il regime, è quello dell'amore e il primo amore è quello per la libertà, libertà che è fondamentale perché è l'unica che ci permette di credere in noi stessi e di realizzarci perché ogni avventura è “adventus”, è un incontro, è un appuntamento e ogni volta che usciamo fuori da noi cerchiamo disperatamente un modo per incontrare quella parte migliore di noi stessi, cercare un altro che ci confronti e ci rispecchi e insieme proseguire una strada.
Perché l'uomo è un animale comunitario, è un animale di gruppo, quindi da solo non va molto lontano. Per questo dobbiamo stare insieme e soprattutto trovare un modo di stare insieme in maniera più o meno felice, disperatamente felice.
Nel film Jojo Rabbit è chiamato così perché si rifiuta di uccidere un coniglietto. È una prova che i giovani hitleriani devono fare per mostrarsi forti, coraggiosi e decisi. Non so se questo fatto fosse vero, ma nel film ha un valore emblematico molto importante perché è un mondo rozzo e determinato, che deve educare alla forza selvaggia e quasi alla decisione barbara. Quindi questo ragazzino che aspira ad essere un giovane hitleriano, in realtà si trova questo coniglietto fra le mani e nonostante gli incitamenti dei compagni non riesce ad ucciderlo e lo fa scappare. Da quel momento è deriso e chiamato Jojo Rabbit.
In realtà lui compie per la prima volta la sua azione di libertà, l'inizio della liberazione da essere un burattino e diventare invece un uomo accade proprio in quel momento. Quindi diventa emblematico e importante e quello che potrebbe essere un insulto, in realtà è un titolo onorifico importante e straordinario perché è l'inizio del suo affrancamento, è il momento in cui riuscirà a vedere il mondo in un altro modo e quando incontrerà qualcuno che nella sua testa dovrebbe essere oggetto di ogni pregiudizio, in realtà scoprirà che i pregiudizi sono veramente modi ristretti per vedere le cose perché la realtà è molto più grande, più ampia e più vera.
Il film quindi è interessante e da vedere.
Se vi interessa la videorecensione completa potete trovarla qui:
http://bit.ly/JOJO_RABBIT
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