Regia di Taika Waititi vedi scheda film
Si poteva osare di più e fare molto meglio direi con questo strano e sgangherato film che frulla troppe cose insieme e che vorrebbe spiazzare lo spettatore fin dalle prime scene presentandoci il regime nazista (una cosa molto seria) sulle note di Iwant to hold your hand dei Beatles in versione tedesca). Sembra quasi che il regista intenda utilizzare questo inizio un poco dissacrante per farci l’occhiolino ed avvisarci che il nazismo qui raccontato non va preso troppo sul serio poiché Hitler ci viene presentato come uno stupidone malvagio sì, ma anche un po’ sprovveduto, e i suoi ufficiali tedeschi come tanti vanitosi tromboni stonati. Se dunque mostra subito quali sono i panni che intenderebbe vestire (che sono quelli dell’irriverenza farsesca) diciamo subito che è arrivato buon ultimo e deve così fare i conti con numerosi precedenti ben più riusciti e coraggiosi. Difficile insomma (quasi impossibile direi) reggerne il confronto. Ma il peggio mi è sembrato il fatto (per me inaccettabile) che qui si mette un poco in burletta anche l’olocausto e questo personalmente l’ho trovato abbastanza fastidioso.
Adottando una forma decisamente bizzarra Waititi prova così a navigare a vista fra atmosfere alla Wes Anderson e qualche reminiscenza chapliniana e alla fine riesce in qualche modo persino ad arrivare in porto con qualche ammaccatura di troppo e insufficiente graffiante cattiveria (ma solo dopo aver rischiato troppe volte di andare a fondo con tutta la baracca.
Anche lui come i tanti suoi illustri precedenti da Chaplin appunto (Il grande dittatore) a Lubitsch (Vogliamo vivere) giù giù fino a Mel Brooks (Essere o non essere, The Producer ovvero Per favore non toccate le vecchiette) e a Tarantino(Bastardi senza gloria) e l’elenco potrebbe e dovrebbe essere molto più lungo, ingaggia una specie di corpo a corpo con la storia nel volgere in ridicolo la l’attrazione un po’perversa per il Terzo Reich (che per molti dura ancora adesso) facendolo diventare il tutto quasi una macchietta.
Si diverte insomma a giocare con l’estetica nazista utilizzando una distanza che è sì ironica e dissacrante ma molto meno feroce di quanto invece sarebbe stato necessario poiché nonostante le premesse, il film si rivela poi un poco alla volta quasi un innocuo Feel-Good Movie dalle unghie un po’ spuntate. E’ indubbiamente garbato e divertente (anche troppo visto il soggetto), ma il peggio a me è sembrato il fatto (e non credo di sbagliarmi) che per raggiungere questo risultato un po’ troppo “piacione”, ha finito per mettere un poco in burletta persino l’olocausto (e questo personalmente l’ho trovato abbastanza fastidioso se non addirittura inaccettabile).
Partendo dal romanzo (molto più serioso e drammatico) Caging Skies di Christine Leunens e seguendo l’impianto classico dei film di formazione, il regista racconta la storia del giovane Jojo, fan sfegatato del terzo Reich che odia gli ebrei e indossa con orgoglio la divisa nazista. Il ragazzo vive con la mamma in una cittadina tedesca ed ha addirittura come amico immaginario Adolf Hitler in persona (ovviamente in versione infantile e fatua. La sua fascinazione per il nazionalsocialismo, lo porta a frequentare (devo dire con scarso successo) un campo di addestramento per giovani nazisti comandato da un improbabile capitano da burletta. .
A scombussolare un poco questa fede intonsa, ci pensa però la scoperta di una ragazzina nascosta in soffitta (Elsa) che sarà comunque la chiave di volta della storia e nella quale si potrebbe ravvisare la figura di una Anna Frank un po’ disarticolata) e a questo punto… Ma mi fermo qui per non spoilerare troppo, aggiungendo solo che nel finale il ragazzo prenderà metaforicamente a calci proprio il suo idolo opponendo al farfugliamento nazista della prima parteil valore dell’amicizia e della poesia (Marzia Gandolfi).
Potreste domandarvi allora cos’è che non va in un film che sembra voglia avere anche una funzione didattica e che in fondo ci racconta il nazismo come se si trattasse di una favola malata irriverente e ridicola che potrebbe persino suscitare un ripensamento critico.
E’ presto detto: il fatto che pur nel gioco, il film non morde mai e risulta irriverente più nelle intenzioni che nei risultati pratici della messa in scena, poiché è soprattutto nella rappresentazione dell’Hitler di Taika Waititi (che è anche l’interprete del personaggio) che (parere strettamente personale come sempre) fallisce clamorosamente il suo obiettivo e lo allontana dalla grande satira che sorreggeva invece le precedenti imprese dissacratorie a cui accennavo sopra. E’ pur vero che questo è un Hitler che nasce dalla fantasia di un bambino per sostituire la figura di un padre troppo spesso assente, ma questo a mio avviso non è sufficiente a nobilitare l’impresa poiché in questa dimensione più dolce che agra, l’onda di ilarità che ne scaturisce non è mai associata al sentimento dell’orrore che invece traspariva prepotente nelle altre opere che ho menzionato prima: Hitler è solo un fantoccio farsesco c he ci fa ridere ,ma dietro al quale non riusciamo a captare nemmeno l’ombra della sua attitudine alla crudeltà scientemente praticata. Manca insomma non solo la caustica lettura che Chaplin fece del suo tiranno/ buffone ispirandosi direttamente all’originale, ma anche la feroce cattiveria di un Mel Brooks in assoluto stato di grazia (e mi riferisco in particolare al suo The Producer) che in un delirante show altrettanto sgangherato, riesce a distrugge la figura di questo bieco dittatore attraverso la risata.
Dietro alla farsa il film alla fine si rivela semmai (e questo è il suo lato più positivo) come un percorso di educazione sentimentale che non ha però la forza e la capacità del rigetto che avrebbe dovuto provocare nello spettatore verso la malvagità indecente di quel regime infame che si intravede un poco (ma solo di sghimbescio) nelle pochissime (ma troppo brevi per poter incidere davvero) brutali scene di contorno.
Peccato poiché l’equipe messa a disposizione del regista era davvero di primordine da Mihai Malaimare jr. responsabile della bella fotografia (già direttore di quella che ha reso celebri grandi capolavori dello schermo a partire dal sorprendente The Master che deve molto al suo speciale contributo)a Michael Giacchino autore della godibilissima olonna sonora (sue furono anche le musiche di grandi successi commerciali come Coco e Spider-Man . Da citare anche il superbo cast e in primo luogo Scarlett Johansson eccellente nel disegnare la psicologia della madre del ragazzo. Accano a lei, da ricordare nel ruolo del comandante del campo di addestramento per giovani nazisti, anche un sorprendente, Sam Rockwel: un aprova maiuscola la sua che rimane sotto di poco a quella davvero sublime resa in Tre manifesti a Ebbing. E ancora Stephen Merchant (il capo della Gestapo), Rebel Wilson e - last but not least - i sorprendenti, bravissimi Roman Griffin Davis e Thomasin McKenzie che interpretano i ruoli rispettivamente di Jojo e Elsa., Dell’Hitler di Waititi (funzionale ma non straordinario) ho già detto prima.
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