Regia di Taika Waititi vedi scheda film
Pensando a Jojo Rabbit di Taika Waititi, penso ad uno dei pochissimi film sulle leggi razziali che mi fa riflettere senza distruggermi.
Se c’è una cosa che fatico sempre a fare, è quella di vedere i film ambientati sui campi di concentramento, per spiegarci meglio, “Jona che visse nella balena” non sono mai riuscito a finirlo (e chi mi conosce sa che per me non finire un film è una cosa più che rara). Quindi Jojo Rabbit è un film adatto alle mie esigenze, perché parla di tutto ciò che è la Seconda guerra mondiale, senza però mostrare i campi.
Jojo Rabbit è un film riuscito molto bene, probabilmente per palati raffinati perché unisce momenti divertenti (se così si possono definire) a colori e ambientazioni intrise di terrore e paura da farti mancare il respiro.
Vedere l’orrore della Seconda guerra mondiale con gli occhi di un bambino al di fuori del campo di concentramento è qualcosa che forse, non si era mai visto. Si c’era già stato “il bambino con il pigiama a righe” ma non ha nulla a che vedere con questa visione.
L’interpretazione di Scarlett Johansson, Roman Griffin Davis e Thomasin McKenzie è praticamente perfetta e fa volare via velocemente il film, che seppur con un tema così crudo, non stanca e non incupisce più di tanto.
E che dire di Waititi? Se sulla regia non c’è niente da dire, anzi c’è solo da complimentarsi, sulla caraterizzazione di Adolf Hitler è chiaro che c’è da discutere, se da una parte l’idea di trasformarlo quasi in una macchietta da un senso più leggero al film, dall’altra purtroppo rischia di snaturarne un po’ il brutto personaggio. Il regista riesce a mantenere un certo equilibrio in questo, ed è assolutamente una cosa positiva.
Sono innamorato (e non è feticismo ok?) di quelle scarpe bianche e rosse prima appoggiate con sicurezza sopra un muretto e poi a penzoloni al centro della piazza. È un’immagine incredibile, perché noi sappiamo bene a chi appartengono ma in queste due scene non è inquadrato e per me è un modo per omaggiare tutte le persone che sono morte lottando contro il regime nazista.
Quel regime totalitarista che ancor oggi con altre ideologie e altre modalità (anche completamente diverse da quelle hitleriane) è presente in mezzo a noi e quelle scarpe simbolo di lotta, del non arrendersi e del non fermarsi, potremmo indossarle tutti noi.
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