Regia di Ken Russell vedi scheda film
Rubando un termine al mondo della finanza, si può dire che le quotazioni di Ken Russell, oggigiorno, siano in netto ribasso. Difficile trovare eredi, nell’oggettivismo del cinema contemporaneo, allo strabordante talento del Fellini albionico. La sua esuberanza, il suo estro creativo, il suo premeditato gusto (talora cattivo) per l’inattendibilità storica fanno fatica a ritrovarsi in una cinematografia d’autore europea sempre più schiava di un approccio “fenomenologico” alla realtò, secondo la lezione (talora mal adattata) dei Dardenne, a sua volta mutuata dal maestro Bresson. Ci hanno provato, con esiti alterni, i vari Sorrentino, Kusturica, la sorpresa Baricco e altri che ora non mi vengono in mente, ma sta di fatto che l’arte di “violentare la Storia”, imbastendo vertiginosi amplessi fra arte, eros e sentimenti come quelli che ci proponeva Ken Russell, non pare riscuotere l’interesse dei cineasti contemporanei. “L’altra faccia dell’amore” è un film impensabile oggi, tanto è libero, selvaggio, sfrenato, spudorato. Ad esaltare la visione, non è tanto l’ardore delle scene erotiche, né la rappresentazione (comunque elettrizzante) di un concerto per piano/orchestra come fosse un live di una rock band, né le digressioni oniriche/visionarie…è proprio l’idea di far evolvere il flusso delle immagini seguendo quello della musica di Ciajkovskij, che a sua volta genera sia nei personaggi sia negli spettatori sentimenti fra i più disparati: pulsione sessuale, malinconia, euforia, rabbia…Molti ritengono ingenuo, datato e fuori controllo questo tipo di estetica, ma forse è perché oggi, rispetto a 40 anni fa, è venuta un po’ a mancare la tendenza di usare il cinema d’essai come un mezzo per sognare ad occhi aperti, come un universo dove tutto può succedere, come uno scrigno di sorprese o un arcobaleno di trovate (per inciso, il fantasy non ricoprirà mai questa funzione, essendo premeditatamente votato all’inverosimiglianza)…Ken Russell è stato un figlio variopinto della nouvelle vague, incarnando il lato più trasgressivo del cinema inglese (preceduto da Powell e seguito da Jarman e Greenaway), abbandonandosi ad un sincero romanticismo capace di giustificare anche l’epilogo delirante…Le “music lovers” di questo film costituiscono la perfetta dicotomia fra corpo e mente, sesso ed arte: ciò che la ninfomane Nina (non) ottiene col corpo, la matura e ricca vedova (non) ottiene sublimando la sua passione erotica nel feticcio della musica del suo amato compositore…Strepitosa la prova dell’allora splendida Glenda Jackson, una delle maggiori attrici di tutti i tempi.
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